La Sardegna non fece parte della geografia del Giro d’Italia sino al 1961. Quell’anno, per celebrare quella sabauda di cent’anni prima, anche la Gazzetta dello Sport decise di unire l’Italia del Giro. Tutta l’Italia. Fu uno sforzo notevole per tutti, una di quelle idee geniali che resero celebre il leggendario patron della corsa, Vincenzo Torriani.

Lo sbarco

Il 23 maggio 1961 fu una giornata epica. Dalla pancia del “Cabo San Rocque”, una nave affittata per l’occasione, la carovana sbarcò in via Roma tra la folla. Dai ponti scesero frastornati i corridori delle 17 squadre partecipanti, che il giorno prima si erano sciroppati i 149 km della Sanremo-Genova. Miguel Poblet, che a Sanremo aveva trionfato due volte nella Classicissima, si presentò vestito di rosa e con le stesse insegne si rimbarcò la sera. Nessuno arrivò in aereo. Il Giro era una carovana che per una notte usò il Tirreno come autostrada e quella successiva fece lo stesso, sbarcardo a Marsala: in ricordo dell’impresa dei Mille, una tappa nell’Isola dove Garibaldi è sepolto sembrava strizzare l’occhiolino alla Storia.

La corsa

Nell’Isola il passaggio della corsa fu essenziale: una tappa, la quarta, una sede unica di partenza e arrivo, Cagliari, un percorso di 118 km senza particolari difficoltà. Finì per vincere un Carneade dal nome celebre, Magni. Non Fiorenzo, ovviamente, ma Oreste, che l’anno prima aveva vinto il Trofeo Matteotti. Nato ad Albese con Cassano, il paese dello sfortunato Fabio Casartelli (morto al cadendo in discesa Tour de France a 24 anni), anche Magni ebbe vita breve: se ne andò prima di compiere quarant’anni, asfissiato dalla stufa di casa. Quel giorno a Cagliari, però, gli dei dello sport gli sorrisero. Infilò in volata Van Tongerloo e Suarez, che lo avevano raggiunto dopo un attacco a 15 km dal traguardo. Una volata beffarda per il favorito Van Looy (4° a 10”) che regalò all’Italia la prima vittoria di quell’edizione. La Sardegna fece invano il tifo per Giovanni Garau. Il coriaceo corridore di Santa Giusta tentò per tre volte invano l’allungo e chiuse in gruppo. Il quell’edizione sarà quarto nella tappa di Roma.

Un digiuno trentennale

Dopo quella volta, il Giro d’Italia non tornò per trent’anni. Quando lo fece, nel 1991, il ciclismo era già cambiato e si avviava a diventare ciò che è adesso. La Sardegna, regione diversa fra tutte per la sua insularità, ben più marcata della Sicilia, si ritrovò confinata dalle accresciute dimensioni della corsa a un ruolo unico e costosissimo: quello di sede di partenza. Impensabile rifare ciò che fu fatto nel 1961, con il trasferimento-lampo della carovana. Lo spostamento in Sardegna richiede un giorno di riposo e certo non è pensabile allestire nell’Isola (priva di salite probanti) un finale di corsa. Da allora, per due volte (nel 2007 e nel 2017) la Regione ha messo mano al portafoglio e convinto Rcs Sport a venire nell’Isola. Uno sforzo che deve essere ben pagato, perché condiziona lo sviluppo successivo della corsa e fa venir meno la possibilità di inserire, in alternativa, due o tre regioni confinanti tra loro. Nelle prime cinquanta edizioni, la Sardegna è stata toccata una sola volta (e con una sola tappa); nelle successive 50, tre volte, con nove tappe complessive. Ma se la concorrenza cominca ad arrivare anche dall’esterno è difficile che la frequenza possa aumentare.

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