«Il primo ricordo è il Giro del 2005, la tappa del Colle delle Finestre. Ricordo un’immagine di Di Luca in crisi sullo sterrato. Era il momento in cui mi stavo appassionando alle gare. Poi è arrivata la mountain bike ma più che il Giro è stato il feeling che ho trovato con la strada a indirizzarmi verso quella carriera».

Il debutto da corridore nel 2013.

«Sì, ma prima, nel 2012 andai con Diego Rosa, da Under 23, a vedere la tappa del Mortirolo, l’anno che sono passati sulla strada in cemento, cosa che non hanno più fatto».

Il Giro del 2013 significa il 5° posto alle Tre Cime di Lavaredo, nella neve. Cosa ricorda?

«Quando abbiamo passato Cortina ha iniziato a piovere, sul Tre Croci la pioggia è diventata neve e a Misurina era tutto innevato. Non ho mai sofferto troppo il freddo, anche se sono sardo, ma non mi fa piacere. Però non ero proprio “ibernato”, la tappa andò bene. Mi spiace non avere immagini di quella giornata epica, sarebbe bello trovarne».

Sullo Stelvio nel 2014 Quintana le tolse il Giro con una “furbata”...

«Più che quello io credo che fosse il 2015 l’anno in cui si poteva pensare alla vittoria. Quella volta magari la situazione non fu gestita al meglio. Non ci ho più pensato troppo. Forse a livello di condizioni climatiche è stata una delle giornate più difficili del ciclismo, la paragono a quella Sanremo interrotta per neve, anche se non c’ero».

Nel 2014 la prima vittoria: la più bella?
«Tutte hanno un significato, ma Montecampione è la prima, quindi sì. Citerei anche la crono del Monte Grappa (fu 2°, ndr) e le vittorie di Sestriere e Cervinia. Proprio l’altro giorno ho fatto un video per presentare la tappa che ci sarà in Val d’Aosta, che sin da Under 23 è una regione che mi ha dato soddisfazioni».

L’edizione 2017 partita dalla Sardegna e lei era infortunato.

«È in assoluto uno dei miei più grandi rimpianti. Un periodo di enorme sfortuna, una caduta banale che si è rivelata fatale. Col senno di poi, sapendo che non ci sarebbero state altre occasioni di correre in Sardegna, sarei partito lo stesso. Ma magari mi sarei dovuto fermare e poi non avrei vinto il tricolore...».

Alberto Contador e Fabio Aru al Giro del 2015 (Archivio L'Unione Sarda)
Alberto Contador e Fabio Aru al Giro del 2015 (Archivio L'Unione Sarda)
Alberto Contador e Fabio Aru al Giro del 2015 (Archivio L'Unione Sarda)

La maglia rosa, una ma indimenticabile.

«Ci fu una caduta, io ero davanti, Alberto perse una quarantina di secondi. L’ho presa in un modo che non mi è piaciuto moltissimo ma vestirla è stato importante. Purtroppo era la vigilia della crono e l’ho persa subito ma credo che fosse meritata. C’ero andato vicino all’Abetone per pochi secondi, la sorte mi ha voluto restituire qualcosa in quella occasione».

Ha vestito anche la gialla e la rossa: con differenti emozioni?

«Le maglie sono sempre diverse ma da italiano il Giro e la maglia rosa hanno un sapore speciale. Probabilmente il modo in cui ho preso la gialla, di forza, si addice un po’ di più alle mie caratteristiche e questo rende il ricordo più dolce, ma non potrei mai discriminare la corsa rosa. I pensieri nascono da come hai vissuto le esperienze ma ho ricordi bellissimi di questa corsa».

Anche momenti molto duri, però.

«Senza nulla togliere ai corridori ai quali in una carriera va tutto più liscio, ciò che è capitato a me rispecchia di più ciò che è la vita. I momenti positivi, belli, bellissimi, di solito sono un po’ meno rispetto a quelli negativi. La mia carriera è l’esempio di tante situazioni in cui bisogna stringere i denti e lottare per poi godere di momenti più emozionanti e vittoriosi».

L’Italia aspetta ancora un uomo da corse a tappe. Chi può farcela?

«Io faccio il tifo per Ciccone e Fortunato, due atleti che mi piacciono. Lorenzo lo conosco poco ma è molto bravo e molto umile, come Giulio. Corridori da corse a tappe si nasce, diventarlo è difficile, ma mi auguro che ci riescano perché sono più appassionato di gare a tappe rispetto a quelle di un giorno».

Cosa possiamo attenderci da Nibali?

«Non so come si senta perché negli ultimi mesi l’ho visto pochissimo a Lugano in allenamento. La vita da pro è così ma anche la mia attuale è fatta di vari spostamenti. La grinta non gli manca e di questo gli si deve dare atto. Non so come stia, purtroppo come altri ha dovuto fare i conti con la pandemia ma farà di tutto per lasciare il segno anche se non saprei dire cosa può portare a casa».

Fabio Aru Al Giro d'Italia nel 2014 (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru Al Giro d'Italia nel 2014 (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru Al Giro d'Italia nel 2014 (Archivio L'Unione Sarda)

Vedrà il Giro d’Italia?

«Certo. Seguo sempre le gare in tv, tempo permettendo. Prima, da corridore, di pomeriggio ero un pochino più libero, era il momento del relax, ma anche adesso mi tengo sempre molto aggiornato».

Come è la sua nuova vita senza corse?

«Mi impegna molto ma ho più tempo per stare con la famiglia. Cerco di darmi da fare, tra collaborazioni e progetti che porto avanti. Ci sono giorni in cui sono più stanco di quando ero un corridore, ma altri in cui possono godermi le cose belle e semplici che la vita ti può dare, una gita o una cena...».

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