Su Transizione 5.0 da settimane si susseguono comunicazioni contraddittorie che hanno disorientato imprese e professionisti, costretti a rincorrere scadenze annunciate e poi spostate all’ultimo minuto, istruzioni operative pubblicate fuori tempo massimo e messaggi che sembrano più creare incertezza che guidare gli operatori.

Annunciare una scadenza e prorogarla quando mancano poche ore può alleviare la posizione di chi non era pronto, ma genera inevitabilmente stress per chi segue il percorso con rigore. Un modo di comunicare così altalenante rischia di erodere credibilità e, soprattutto, di mettere seriamente in difficoltà chi deve programmare investimenti importanti.

Dal punto di vista delle aziende, la sequenza degli eventi è stata tutt’altro che lineare: prima l’improvvisa sospensione dei fondi, poi la chiusura della misura, in seguito una riapertura accompagnata dalla promessa di risorse per tutti. Poi il decreto che, di fatto, propone a chi ha già una 4.0 “sicura” la 5.0, lasciando però intendere che, se la 5.0 non è accessibile, si può tornare alla 4.0, la quale nel frattempo risulta, allo stato attuale, però priva di coperture certe. In mezzo a tutto questo, le imprese si sono ritrovate con tre giorni per prendere una decisione dai risvolti finanziari pesanti, aspettando una Pec che in alcuni casi non arrivava o arrivava senza istruzioni, istruzioni che sono state rese disponibili solo all’ultimo giorno utile. A poche ore dalla scadenza un comunicato che informava che dall’arrivo della Pec partivano cinque giorni per completare la procedura, concedendo di fatto una proroga. Un tempo comunque ridotto per una scelta che può valere centinaia di migliaia di euro.

È evidente che un’azienda che ha pianificato un investimento contando su un incentivo del 45% e si ritrova improvvisamente senza certezze può affrontare difficoltà pesanti. Dal lato del ministero, la lettura è diversa: il tiraggio della 5.0 era molto più lento del previsto, e i 6,2 miliardi legati al Pnrr rischiavano di non essere utilizzati nei tempi stabiliti, con l’eventualità di dover restituire le risorse a Bruxelles. Il ministro aveva anticipato che sarebbe stato necessario intervenire, ma il messaggio era stato recepito solo dagli addetti ai lavori. Quando la riduzione dei fondi è diventata concreta, molte aziende, temendo di restare fuori, hanno accelerato la presentazione di progetti anche di grande dimensione, generando pressioni sia sulla 5.0 sia sulla 4.0. Il decreto pubblicato ha introdotto un’interpretazione autentica sul divieto di cumulo, chiarendo che esso nasce già in fase di domanda.

A complicare ancora il quadro è arrivato il nuovo ruolo del Gse in base al Dl 175/2025. Sulla comunicazione del pagamento dell’acconto del 20% molte imprese si sono viste recapitare richieste di integrazione molto dettagliate, con la necessità di produrre documenti e specifiche tecniche che in passato non erano mai stati necessari. Il risultato è un quadro confuso, dove la governance degli incentivi sembra soffrire più di problemi di comunicazione e coordinamento che di mancanza di volontà politica. Le imprese chiedono soltanto chiarezza e tempi certi, condizioni minime per programmare investimenti pluriennali e sostenere la loro competitività.

Roberto Lenzi

(Estratto da “Top24 Fisco Ai”, Il Quotidiano, Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2025, in collaborazione con L’Unione Sarda)

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