Con la circolare 12/E dello scorso 8 agosto, le Entrate hanno sciolto uno dei nodi più critici della recente riforma fiscale in agricoltura: il trattamento tributario delle coltivazioni tradizionali in serre accatastate come D/10. Una questione tutt’altro che marginale, che aveva sollevato forte preoccupazione nel settore florovivaistico.

La riforma, in vigore dal 1° gennaio 2024, ha rappresentato un passaggio storico per il settore agricolo: da un lato ha esteso il concetto di reddito agrario anche alle colture che non utilizzano il terreno quale “substrato” di produzione (le cosiddette coltivazioni innovative); e dall’altro – con la lettera b-bis) al 2° comma dell’articolo 32 del Tuir – ha introdotto la possibilità di coltivare in immobili accatastati nelle categorie C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10.

Il pregevole intervento normativo è finalizzato a disciplinare le coltivazioni innovative, ma il tenore letterale della disposizione ha creato alcune criticità.

L’inserimento della categoria catastale D/10 nell’elenco di cui alla lettera b-bis) ha fatto sorgere il dubbio che i nuovi e più onerosi criteri di tassazione (articolo 28, comma 4-ter, e articolo 34, comma 4-bis, Tuir), pensati per le coltivazioni innovative, potessero trovare applicazione anche per quelle tradizionali svolte in serre accatastate in D/10. Inoltre, sono sorti dubbi anche per il passato, poiché le coltivazioni tradizionali in serre D/10 venivano svolte già prima della copertura fiscale offerta dalla riforma.

La risposta dell’Agenzia è arrivata con un approccio realista, nel tentativo di offrire una disciplina organica e coerente al settore del florovivaismo. Nonostante la rigidità del dato letterale, la circolare 12/E/2025 ha precisato che il nuovo criterio di tassazione (regime transitorio) – in base al quale il reddito dominicale e agrario viene determinato applicando alla superficie della particella su cui insiste l’immobile la tariffa d’estimo più alta in vigore nella provincia, incrementata del 400% – si applica soltanto alle coltivazioni innovative, quali, ad esempio, le vertical farm, le colture idroponiche, la micropropagazione in vitro.

Per le coltivazioni tradizionali, anche se svolte in fabbricati D/10, continuano ad applicarsi i criteri di tassazione previsti anche prima della riforma, i quali per le coltivazioni in strutture fisse o mobili – anche provvisorie (articolo 32, comma 2, lettera b) – stabiliscono che, in mancanza della corrispondente qualità nel quadro di qualificazione catastale, occorre prendere a riferimento il reddito agrario e dominicale più alto della provincia senza la maggiorazione del 400% (articolo 28, comma 4-bis, e articolo 34, comma 4, Tuir).

Si tratta di una soluzione di equilibrio, che consente agli operatori di guardare con maggiore serenità al futuro e offre un’interpretazione che anche per il passato legittima l’applicazione di una disciplina fiscale tutt’altro che scontata. Tuttavia, è innegabile la distanza che corre fra il tenore letterale della riforma fiscale e l’interpretazione dell’Agenzia, il che rende auspicabile un intervento normativo che possa riallineare le disposizioni alle finalità della riforma ben esplicitate nella relazione illustrativa.

Vanni Fusconi - Giorgio Gavelli

(Estratto da “Norme e tributi Plus Fisco”, Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2025, in collaborazione con L’Unione Sarda)

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