Nei giorni scorsi, Finlandia e Svezia, ossia Paesi contrassegnati da una lunga e convinta tradizione di neutralità, hanno proceduto, raccogliendo il plauso generalizzato, o quasi, dell’Unione Europea, a formalizzare la propria richiesta di adesione alla Nato. Che sia un caso, che sia diretta conseguenza riduttiva, ed in qualche modo banale, del conflitto russo-ucraino, oppure la pura e semplice traduzione in fatto di una decisione in fondo meditata nel tempo ma mai finora palesata, sarà la Storia a raccontarlo.

Di certo, siffatte richieste di adesione sono la testimonianza, più o meno dirompente, e probabilmente assai poco conveniente sul piano strategico, di un cambiamento radicale della visione geopolitica dei rapporti di forza tra i due maxi blocchi di concentrazione del potere. Ma, in realtà, nel contesto bellico in atto “Chi vuole Cosa?”

Siamo tutti vittime inconsapevoli di un progetto revisionista ad ampia scala finalisticamente diretto a delegittimare l’impianto difensivo venutosi a creare, sia pure in maniera incerta ed obsoleta, con il trascorrere degli anni e a decorrere dai primi anni novanta? Oppure, siamo tutti vittime di un tentativo di affermazione di un impianto geopolitico uni-polaristico e uni-lateralistico conteso tra Washington e Mosca? Perché la dinamica della “forza” sembra essere divenuta lo strumento di accomodamento e di risoluzione delle relazioni e delle controversie internazionali? Gli interrogativi sarebbero ancora tanti, e probabilmente, ogni potenziale tentativo di ragionamento sui singoli punti evidenziati, si tradurrebbe in un infecondo esercizio stilistico visto e considerato che, giorno dopo giorno, il contesto bellico parrebbe andare incontro non solo a mutamenti di carattere territoriale, ma anche, e soprattutto, a trasformazioni di carattere politico. Un dato, a mio avviso, sembra apparire come incontrovertibile: l’ulteriore processo di allargamento verso est della Nato avrebbe il solo effetto di contribuire a depotenziare l’idea e l’obiettivo della realizzazione di una difesa comune europea favorendo, per ciò stesso, il perseguimento del processo di marginalizzazione dell’Unione finalizzato a relegarla, servilisticamente, in una posizione di “riserva” decisionale dipendente.

I segnali sono a dir poco di una evidenza imbarazzante. Intanto, perché, sul piano della ricostruzione fattuale ed ideologica delle ragioni portate a giustificazione del processo di intervento statunitense in Ucraina e di quello di connesso allargamento della Nato, le diverse fonti sono atlantiche, e quindi, chiaramente orientate a “divulgare” una versione precisa e autoriferita delle problematiche in discussione. Quindi, perché, siffatta circostanza, in apparenza scontata e comunemente quanto acriticamente “accettata”, tende a favorire una certa asimmetria informativa per cui fenomeni complessi “partecipati” e “vissuti” da una pluralità di “attori” internazionali, finiscono con l’essere studiati ed analizzati solo attraverso il punto di vista del “Deus ex Machina” di turno (quello statunitense in particolare), secondo la logica di quello che taluni amano definire, e non a caso, come “pensiero unico dominante”.

Inoltre, perché, se è vero, come è vero, che tutti i processi storici di maggiore rilevanza, tendono a dispiegarsi in un lasso di tempo più o meno lungo, sulla base di valutazioni molteplici che non possono, o quanto non potrebbero, prescindere da una discussione anche a livello popolare sulle ragioni di opportunità e convenienza di una scelta di tal fatta (quella di adesione alla Nato si intenda), allora davvero non si comprende, come mai, Paesi notoriamente neutrali, in maniera del tutto incoerente ed improvvisa per non aver ricevuto sollecitazioni belliche reali di avvertimento, si siano risolti nel senso di aderire ad un disegno strategico di espansione di matrice (in questo caso) filo-atlantista tendenzialmente diretto a divulgare l’idea di una Nato quale “pilastro” di una rinnovata, ma tutt’altro che assicurata, architettura di sicurezza europea. Infine perché, sebbene in tanti tendano a negarlo, a conti fatti, la Nato sembrerebbe non costituire affatto un pericolo reale per Vladimir Putin e per il suo vastissimo Impero, siccome quest’ultimo, proprio nel contesto bellico in atto, ha già dato dimostrazione di resistenza sottolineando la persistenza di un rapporto di forze bi-polare, ma sarebbe più corretto dire multi-polare, difficilmente scardinabile attraverso semplici operazioni belliche condotte a distanza.

In buona sostanza, il conflitto russo-ucraino, contrariamente a quanto sembrerebbero aver ritenuto gli Stati Uniti, ha contribuito ad evidenziare il “peso” strategico di Paesi come Turchia, Cina e India i quali, quando attraverso il loro intervento per favorire la creazione di un tavolo di pace, quando attraverso i loro silenzi programmati, sono riusciti a sottolineare la rilevanza della loro “presenza/assenza” quale elemento di frattura dell’impianto dei blocchi fino a ieri esistente. Tanto più allorquando, l’ipotesi di un ulteriore allargamento della Nato, realistica nella sua consistenza pratica, ma assai poco meditata sul piano delle conseguenze, voglia essere perseguita prescindendo da ogni attenta valutazione sugli attori potenzialmente coinvolti, anche sul solo piano della mera opportunità, nell’economia geopolitica globale.

E ancora di più allorquando si voglia considerare che la situazione venutasi a palesare dopo ben novanta interminabili giorni di conflitto, abbia contribuito a favorire e determinare la emersione di una pluralità di nuove “potenze” diversamente concorrenti e decisamente superiori rispetto al passato che, combinata con la contestuale carenza di relazioni stabili e Istituzioni Internazionali solide di riferimento, finirà con il rendere particolarmente incerto e traballante il costituendo (se davvero così è) ordine mondiale. Con buona pace tanto degli Stati Uniti, quanto della Russia. Il tatticismo di circostanza, se può valere nel breve periodo, non può diventare la regola all’interno di un vortice bellico centrifugo che impone continue decisioni strategiche utili magari nell’immediato, ma assai poco determinanti nel medio e lungo periodo. Gli Stati Sovrani, Italia compresa, sono quindi chiamati a portare avanti iniziative di politica estera finalmente improntate alla realizzazione del proprio interesse particolare, anche al di là e oltre, i desiderata statunitensi e/o quelli di qualsivoglia altro decisore politico di rilievo sovra-nazionale: laddove impera il “disordine” ideologico multipolare, solo la creazione di blocchi di rilevanza “regionale” può contribuire a bilanciare, riconducendolo a razionalità, il sistema delle relazioni internazionali.

Ciò che maggiormente preoccupa è, per un verso, la totale assenza di Personalità Politiche all’altezza degli eventi e, per altro verso, la carenza di una visione strategica di ampio respiro utile ad indicare la direzione da intraprendere non solo per favorire la cessazione del conflitto, ma anche per la ricostruzione dei rapporti tra Oriente e Occidente.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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