«La rottura tra il Pd e Calenda? Nulla di strano. Era prevedibile che finisse così. Anche se non è escluso che nelle prossime ore ci possano essere altri rivolgimenti». L’economista Stefano Zamagni, già presidente dell'Agenzia per il terzo settore, ora alla guida della Pontificia accademia delle scienze sociali, è uno massimi teorici dell’economia sociale. Conosce bene anche le dinamiche politiche: nell’ottobre 2020 ha contribuito a far nascere “Insieme”, movimento di ispirazione cattolica con radici nel centro.

Professore, come andrà a finire?

«Difficile fare previsioni. Questa situazione è il frutto del caos voluto da tutti i partiti».

Che cosa significa?

«È evidente che la caduta del Governo Draghi è stata voluta da tutte forze politiche, nessuna esclusa. Con la differenza che alcuni si sono esposti personalmente e in modo aperto. Altri hanno lasciato che il quadro degenerasse. Che bisogno c’era di far cadere il governo Draghi sette mesi prima della scadenza naturale?».

Dunque, una voglia trasversale di cacciare Draghi.

«Tutti i partiti hanno avuto timore di subire un processo di delegittimazione. Non potevano tollerare che si arrivasse alla scadenza naturale della legislatura. C’era il rischio di perdere posizioni di fronte all’autorevolezza di un esecutivo formato da persone competenti. Si è cercato il Pierino di turno, quello che lancia il sasso nella piccionaia, i Cinquestelle. Il Pd se avesse voluto evitare le elezioni lo avrebbe potuto fare».

Come vede gli scenari post voto?

«Vedo una destra-destra in vantaggio. È vero che Forza Italia è un partito di centro, ma oggi è troppo fragile per contrastare la destra. A meno che FI riesca ad arrivare al 20% come ha promesso Berlusconi. Ha detto: scendendo in campo posso raddoppiare i consensi. Può anche succedere, non lo escludo. Qualcuno ride. Berlusconi ha sette vite».

La destra-destra trionfa alle elezioni…

«Voglio fare un’analisi oggettiva, senza farmi condizionare dalle mie convinzioni. Un Governo di destra-destra, se questa ipotesi non si verificasse, pone serie ipoteche sul futuro del nostro Paese sotto vari aspetti: economico, sociale e sul piano della politica internazionale».

Partiamo dall’ultimo punto.

«I nostri partner occidentali, non facciamoci illusioni, non accetterebbero un governo di destra-destra. Sappiamo come si comportano gli americani quando non accettano una certa linea. Intervengono in modo deciso. Non con la forza militare, sia ben chiaro, ma con le armi dell’economia. Dipendiamo dagli Stati Uniti, una dipendenza forte con tutto quello che ne consegue».

L’aspetto sociale.

«La destra-destra si fa forte della difesa di valori che sono tipici della tradizione culturale italiana e di quella cattolica. Penso al disegno di legge Zan e alla legge sul fine vita, questioni su cui il Pd si è molto esposto. Che fine faranno? È facile immaginare lo scontro sociale che si potrebbe creare nel Paese su questi punti».

Infine l’economia.

«Lo spread, tecnicamente, è il differenziale tra i bund tedeschi e i bond italiani. Che cosa realmente misura questo scarto? Il grado di fiducia. È chiaro che se vince la destra-destra, almeno nel breve termine, lo spread aumenterà. Per questo Giorgia Meloni rassicura. In caso di vittoria ha indicato, come ministri, Tremonti, che offre garanzie ai mercati internazionali, e Cingolani per sottolineare che non ci saranno interruzioni nella transizione ecologica. La fiducia è l’unico presupposto per frenare la speculazione finanziaria».

Pessimista?

«Sono ottimista di natura. Confido nella capacità degli italiani di uscire indenni dai conflitti. Penso che il peccato originale sia stato il bipolarismo. L’Italia non può essere governata con un sistema bipolare. Chi conosce la scienza politica, sa che il sistema bipolare in Italia non può funzionare».

L’economia reggerà?

«L’economia italiana è in buone condizioni. L’economia reale è fatta di fabbriche, laboratori, campi, idee. Non dobbiamo piangerci addosso. Dobbiamo autoflagellarci perché siamo fessi. Voglio ricordare lo scrittore Antonio Genovesi, napoletano, professore di Economia, vissuto nel ‘700. Richiamo le sue parole: “Un popolo se vuole mantenere la propria libertà e la propria capacità di vita non deve essere dipendente da nessun Paese”. Parole attualissime di fronte agli sviluppi della guerra in Ucraina».

Quale strada deve percorrere la Sardegna?

«I sardi devono riacquistare consapevolezza della loro cultura straordinaria e riconquistare la fiducia nelle loro possibilità. I migliori cervelli non devono lasciare l’Isola. Occorre creare le condizioni per non farli scappare. Solo così la Sardegna è in grado di ripartire».

Massimiliano Rais

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