Non c’erano dubbi sul fatto che presto o tardi il dibattito mediocre di stampo perbenista e benpensante sul tema dello scioglimento o meno di Forza Nuova si sarebbe concentrato sull’aspetto meno significativo e pragmatico dell’intera vicenda per poi tradursi in una contrapposizione tanto “trivial-conventional” quanto “ideal-chic” tra favorevoli e contrari.

La storia, del resto, si ripete sempre identica a se stessa, e sempre parimenti identica si appalesa l’incapacità collettiva a tematizzare compiutamente, nel caso specifico del contesto contingente, la questione relativa alla più che disinvolta (per voler impiegare un eufemismo) riconversione delle masse dalla fede variamente liberale e statalista a quella addirittura sedicente neo-fascista come risultato di una crisi identitaria e sociale post-pandemica senza precedenti giunta, oramai, al suo livello massimo di maturazione sulla scia del decisionismo tecnocratico di Mario Draghi e del suo “Governo dei Migliori”. E siccome la narrazione spicciola direttamente percepibile dall’italiano medio (per generale ma non comprovata convinzione di base) sembrerebbe imporre soluzioni interpretative anche paradossali ma pur sempre idonee ad offrire una comoda giustificazione agli accadimenti, allora anche le divagazioni concettuali meno probabili, quali quelle della permanenza e dell’immanenza nel tempo e nello spazio dell’ideologia diversamente e modernamente “fascista”, si accreditano, nel contesto del sentire comune, per divenire le uniche concezioni dotate di plausibilità pratica.

Attenzione tuttavia: se si vuole nutrire l’illusione malsana, per quanto accattivante, di poter ricondurre i “Fatti di Roma” ad una pretesa “rinascita fascista” sol per l’incapacità di vedere più lontano rispetto al palmo della propria mano, allora è chiaro che discorrere nei termini dello scioglimento di “Forza Nuova” possa costituire il nettare e l’essenza della panacea di tutti i mali. Peccato, tuttavia, che quella medesima tematica, pur con tutto il suo fascinoso sex-appeal, non consenta di risolvere la questione, senz’altro maggiormente stringente sul piano contingente, ma comunque assai più farraginosa e complessa su quello intellettuale, della “transizione” umana e psicologica dal periodo propriamente detto “pre-pandemico” a quello immediatamente “post-pandemico”, se già ci ritroviamo a viverlo (ma non ne sono affatto certa), in assenza di ogni compiuta analisi del proverbiale “periodo di mezzo”, ossia quello “pandemico” propriamente detto.

Immaginare di poter gestire (perché di questo in fondo si tratta) il processo di ricomposizione delle identità “smarrite”, rectius delle “masse ribelli”, partendo dalla conferma di un “grande rifiuto” ideologico, quello “neo-fascista” appunto, rappresenta solamente una pia illusione. Con buona pace, questa volta, del Partito Democratico, di Italia Viva (ancora miracolosamente presente), e del Partito Socialista Italiano. Intendiamoci tuttavia, e liberiamo il campo da pericolose incertezze: Forza Nuova, per la sua connotazione violenta, e per il suo connotarsi quale “organizzazione politica che si ispira al fascismo”, si inserisce perfettamente nell’alveo concettuale punitivo della cosiddetta “Legge Scelba” (che appunto punisce ogni azione diretta alla riorganizzazione del partito fascista per il perseguimento di finalità antidemocratiche impiegando la violenza quale metodo di lotta politica) ben potendo, di conseguenza, e ricorrendone tutti i presupposti, essere sciolta.

Il problema, verosimilmente, si pone allorquando si tratti di trascendere il dato giuridico per ricondurre la questione su quello più marcatamente politico-governativo che non può, comunque, prescindere dal primo ponendosi arbitrariamente in una dimensione di dicotomica autonomia giustificata e rafforzata dal potere di emissione di un Decreto ad hoc che, sul piano della percezione comune, sarebbe non solo strumentale, ma anche privo di “vis” precettiva. La discrezionalità politica deve pur sempre porsi un limite se non vuole tramutarsi in arbitrio: ma questa è un’altra storia probabilmente, e non riesce a porsi quale chiave interpretativa della “guerriglia rivoluzionaria ed insurrezionalista” che ha letteralmente travolto quello che avrebbe dovuto essere un tranquillo fine settimana romano. Invece, abbiamo dovuto assistere, nostro malgrado, ad una sorta di rocambolesca “Presa della Bastiglia” (incarnata nella specie dalla sede nazionale della Cgil) in chiave post moderna perseguita, questa volta, in nome di un ideale libertario/liberticida all’evidenza diverso e contrario rispetto a quello liberale e democratico originario, per essere espressione di indeterminati, quanto indeterminabili, istinti famelici.

Ma quale fame (e nella risposta a questa domanda si annida il nocciolo dell’intera questione) animava l’azione violenta di questi facinorosi? Quella semplicemente indotta da un sedicente ideale fascista non può certamente rappresentare un orientamento valoriale sufficiente a spiegare quei “fatti” se non nello stretto contesto dei vaneggiamenti concettuali riconducibili alle dissertazioni dei raffinati salotti radical chic. Né può valere, nel contesto di una società (comunque patologica per il suo continuo ed incessante generare governi che non rispettano i risultati delle elezioni mortificando la scelta politica del Popolo Sovrano) che abbia la pretesa di definirsi evoluta, a giustificare una azione violenta di tale impatto sociale. Non possiamo esimerci dal considerare che, al di là dell’indiscusso biasimo nei confronti degli autori morali e materiali del disastro sociale dei giorni scorsi, proprio quel “disastro” annunciato rappresenta il riflesso pragmatico della crisi della democrazia e delle sue modalità di esercizio del potere: il “tecnocratismo” imperante, in buona sostanza, ha paralizzato, con consapevole ed imbarazzante adesione della classe dirigente del Paese (dalla quale sarebbe stato lecito, forse, attendersi una decisa ribellione), l’azione politica generale nel suo complesso, e con essa i Partiti stessi divenuti umili servitori, sembrerebbe, di un non meglio definito potere assoluto.

A riprova del fatto che allorquando si tentino di oltrepassare i limiti della naturale organizzazione democratica e delle dinamiche ad essa direttamente collegate, tanto sul piano sociale, quanto su quello più squisitamente politico, allora l’esito non può che essere drammaticamente devastante.

L’eventuale scioglimento di Forza Nuova, pertanto, per quanto significativo sul piano della stigmatizzazione di un aspetto valoriale indiscusso, quello appunto anti-fascista, avrebbe il sapore di un atto estemporaneo e poco originale, quando non anche per nulla risolutivo. E l’eventuale iniziativa diretta in tal senso del Ministro dell’Interno, in assenza di una sentenza della Magistratura Penale passata in giudicato, per quanto astrattamente legittima sul piano Costituzionale, sarebbe inopportuna siccome si porrebbe quale espressione ulteriore di un potere neo-assolutistico che avrebbe l’effetto “boumerang” di far apparire come legittime pure le illegittime ragioni di quei dannati facinorosi. Meditiamo: perché probabilmente la responsabilità dell’accaduto non sta soltanto in capo di coloro che ictu oculi appaiono, e lo sono stati, “brutti, violenti e cattivi”. In tutto questo trambusto, lo Stato dov’era? E soprattutto, dov’è?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

© Riproduzione riservata