Il Governo ha provveduto ad impugnare due leggi della Regione Sardegna: quella sulla interpretazione autentica del Piano Paesaggistico Regionale e quella relativa alla Proroga del Piano Casa fino alla data del 31 dicembre prossimo.

Nei giorni scorsi, infatti, la Regione Sardegna a trazione sardo-leghista ha proceduto, praticamente senza troppo clamore, e tra le altre cose, alla approvazione della Legge n. 21/2020, ossia della “legge del cemento”, che negli intenti dei suoi promotori, e come indicato “expressis verbis” nel suo articolo 1, avrebbe la fantasiosa quanto illusoria pretesa di procedere ad una “Interpretazione Autentica di Norme di Pianificazione Paesaggistica” che sottragga alla programmazione congiunta tra Regione Autonoma della Sardegna e Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo talune porzioni di patrimonio naturale isolano di indiscusso valore paesaggistico, ambientale e monumentale quali, in breve, la fascia costiera, i beni identitari e le zone agricole.

L’obiettivo non dichiarato parrebbe essere quello di riuscire ad edificare sulle coste, compresa la fascia protetta dei 300 m., in pieno contrasto con il Piano Paesaggistico e con la Legge Salvacoste, mentre, stando alle dichiarazioni ufficiali, siffatto provvedimento avrebbe dovuto perseguire il solo obiettivo di evitare il parere negativo della Soprintendenza sulla strada a quattro corsie Sassari-Alghero.

E’ appena il caso di rilevare, laddove davvero ve ne fosse bisogno, che la fallacia di una argomentazione di tal fatta - come da più parti rappresentato - emerge in tutta la sua lapalissiana evidenza laddove solo si consideri la sussistenza della possibilità concreta di agire unicamente su quello specifico frangente (“strada a quattro corsie”) senza andare ad intaccare norme di salvaguardia che, fino ad oggi, hanno contribuito a tenere indenne la nostra Isola dall’assalto indiscriminato dei cosiddetti “cementificatori seriali”, venuti da lontano, sedicenti portatori di benessere e sviluppo ma, in realtà, avidi produttori di ricchezza monetaria auto-riferita proiettati unicamente ad alimentare le loro casse attraverso interventi di perseverante “usura” di “fasce di territorio incontaminato” e di “identità culturale” nel mal celato tentativo di mascherare gli scarsi risultati di una scadente interpretazione politico-amministrativa del Governo Territoriale, in questa specifica circostanza attuata da parte dell’attuale maggioranza sardo-leghista, che, stante la probabile scarsa conoscenza delle criticità territoriali isolane, pare non riuscire ad avviare un equilibrato e razionale sviluppo economico-sociale che possa dirsi davvero utile all’interesse dei Sardi.

Tuttavia, medio tempore, a mio umilissimo modo di ritenere, appare di fondamentale importanza comprendere le ragioni di un intervento normativo di evidente sapore propagandistico/populista che, lungi dal perseguire il miglior interesse per l’Isola, si caratterizza, invece, unicamente per appesantire, e peraltro inutilmente, il già ingarbugliato telaio normativo locale.

Ed allora, se così è, come pare davvero essere, perché gli alleati della maggioranza sardo-leghista si fregiano d’aver asseritamente dato corso ad una “nuova pagina nella storia dell’autonomia della Sardegna”? Christian Solinas passerà alla storia della Sardegna per aver proceduto alla originale riscrittura dello Statuto Speciale finalisticamente orientata al tanto agognato raggiungimento dell’autonomia legislativa dell’Isola? In che modo la legge in discussione sarebbe idonea a costituire espressione diretta di esercizio di autonomia? Quali sono i limiti, ed i contro-limiti di questa legge? Si tratta realmente di una legge incostituzionale per violazione dell’articolo 117, oppure la competenza primaria in argomento appartiene per davvero alla Regione, la quale, pertanto, nella circostanza, avrebbe agito nel pieno e legittimo esercizio delle sue funzioni?

La risposta a siffatti interrogativi non può che lasciarci con l’amaro in bocca. Intanto, perché l’ “autonomia sarda” risulta ancor oggi gravemente mortificata dalla mancanza di una concreta visione programmatica d’insieme, sia nei rapporti col Governo centrale, sia, purtroppo, nei rapporti coi vari livelli di governo territoriale locale il quale, anche di recente, ha conosciuto un gravoso irrigidimento del proprio già esistente carattere patologico a cagione di una propugnata riforma degli enti locali che lungi, purtroppo, dall’esplicarsi in conformità al principio di sussidiarietà, ha invece auto-referenzialmente ridisegnato una mappa del governo territoriale espressiva di una tendenza finalisticamente orientata ad accentuare lo squilibrio tra i vari territori isolani in totale dispregio di ogni sano principio di federalismo interno e di gestione policentrica ragionata.

Quindi, perché l’esercizio pieno ed effettivo dell’autonomia statutaria sarda presupporrebbe, oltre ad un sapiente e non dispersivo utilizzo delle risorse disponibili, un’attività preventiva di identificazione analitica del tessuto territoriale e delle sue specificità utile a definire una bilanciata programmazione governativa che si ponga quale obiettivo primario, per un verso, quello di instaurare rapporti funzionali tra i diversi e variamenti articolati centri urbani di riferimento, il cui funzionamento, nel bene e nel male, costituisce evidentemente il riflesso condizionato dell’efficacia, parimenti in positivo e/o in negativo, della “governance” regionale nel suo complesso, e per altro verso, quello di garantire la tutela del proprio patrimonio paesaggistico, ambientale, e monumentale nei confronti di eventuali interventi mortificanti e depredatori.

Infine, perché, di conseguenza, la legge n. 21/2020, forzosamente inserita in quest’ottica autonomistica per esservi stata erroneamente quanto artatamente immessa quale tipica espressione di essa dall’attuale maggioranza sardo-leghista, evidentemente impreparata rispetto alla tematica affrontata, non è affatto idonea a sortire l’effetto desiderato giacchè, per un verso, muove da una erronea interpretazione delle disposizioni statutarie allo stato esistenti e, per altro verso, contrasta inesorabilmente con l’articolo 117 della Costituzione e con il dettato della recente giurisprudenza costituzionale in argomento (cfr. sentenza 308/2013), la quale consente l’interpretazione autentica di discipline normative risalenti solo allorquando, e non è questo il caso, vi siano “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo” dovute ad “un dibattito giurisprudenziale irrisolto”, oppure, allorquando si debba procedere a “ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” al fine di tutelare la “certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini”, ovverosia “principi di preminente interesse costituzionale”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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