La Corte di Cassazione si è espressa: legittima la indizione del referendum per l'abrogazione totale della cosiddetta Legge Calderoli sull’Autonomia Differenziata. Sull’ammissibilità la parola torna quindi alla Corte Costituzionale.

La proposta di abrogazione parziale, invece, e potremmo dire di conseguenza, parrebbe non aver dunque più ragione di essere, soprattutto dopo la nota, e già intervenuta, pronuncia della Consulta. Ma cosa significa esattamente? Ebbene, è presto detto. Siccome il Referendum Abrogativo rappresenta lo strumento con il quale i cittadini possono chiedere l’abrogazione totale o parziale di una legge, ne deriva che se il referendum stesso dovesse avere un esito positivo, ne conseguirebbe che la norma oggetto della consultazione popolare, nella specie la Legge Calderoli, dovrebbe, come di fatto dovrebbe, essere espunta, per così dire, dall'ordinamento. E sul piano politico, prima ancora che giuridico, una tale evenienza, potrebbe, con buona verosimiglianza, pesare forse non poco sulla stabilità della attuale maggioranza di Governo la quale, tutto considerato, risulterebbe sconfitta proprio con riferimento ad uno dei suoi cavalli di battaglia. Intanto, perché, attraverso siffatto meccanismo, il Referendum si intenda nelle sue varie tipologie, il cittadino ha la possibilità di partecipare attivamente alla decisione politica, integrandola, modificandola, abrogandola ove non incontrasse il suo gradimento. Quindi, perché, i cittadini, in tal modo, oltre ad essere maggiormente attivi, siccome effettivamente coinvolti in prima persona, e partecipi, vengono posti nella condizione di farsi portatori di responsabilità e di consapevolezza riconoscendosi come protagonisti reali del processo democratico del proprio Paese. Infine, perché, dicendolo altrimenti ma non troppo, attraverso il Referendum, Abrogativo in particolare, i cittadini sembrerebbero financo esprimersi sul gradimento, in sé e per se considerato, verso l’azione di governo che dovrebbe/potrebbe così saggiare e recepire gli umori del Popolo e, se del caso, cambiare radicalmente la propria impostazione.

Sebbene il governo guidato da Giorgia Meloni, insediatosi il 22 ottobre del 2022, anche nel corso dell’anno 2023 ed ancora nel corrente anno, sembrerebbe aver potuto contare su di una maggioranza parlamentare ampia e, tutto considerato, accomodante nonostante una frequente tendenza dei tre principali partiti della coalizione di governo a far valere le rispettive specificità, tuttavia, probabilmente grazie anche alla “freschezza” della rinnovata Segreteria del Partito Democratico, e alla affermazione del Presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, già Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana dal 1° giugno 2018 al 13 febbraio 2021, sembrerebbe iniziare forse a tentennare. Non potrebbe infatti negarsi che l'approvazione del disegno di legge sull'autonomia differenziata ha innescato un dibattito politico accesissimo in Italia, i cui esiti sono quelli cadenzati dalle pronunce delle Corti interessate. Se è vero, come è vero, che la Corte Costituzionale aveva considerato legittima la legge Calderoli, considerandone incostituzionali solo talune parti, tuttavia, allorquando venga indetto, il Referendum, necessiterebbe della partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto per essere valido, ossia il cinquanta per cento più uno degli elettori. Sarà questo il dato inconfutabile, probabilmente definitivo, dell’efficacia e del gradimento riferibili al Governo Meloni. E se si volesse comprenderne il perché, probabilmente, siffatto perché, andrebbe ricercato nel “trend” partecipativo delle masse in occasione degli appuntamenti elettorali, all’evidenza, negli ultimi anni, piuttosto deludente.

L’obiettivo, dunque, a conti fatti, non sembrerebbe affatto semplice da raggiungere, ma tuttavia non impossibile da perseguire considerati gli interessi in ballo. E se non si raggiungesse il dato partecipativo numerico, il referendum fallirebbe e la legge, piaccia o non piaccia, resterebbe in vigore. Se invece venisse abrogata, allora con buona verosimiglianza, potrebbe anche suonare il campanello di allarme in relazione all’altro cavallo di battaglia dell’attuale maggioranza di governo, ossia in relazione al cosiddetto premierato. A conti fatti, ed andando oltre, l’attuale contingenza economica, condizionante l’azione riformista, sembrerebbe invero costituire l’unico vero punto di confronto rispetto alla bontà o meno dell’azione di governo la quale, dovrebbe probabilmente intervenire più efficacemente sul quotidiano e sul benessere economico dei cittadini provati dagli effetti della Pandemia prima e delle guerre poi.

Se è vero, e su tanto occorrerebbe riflettere, che la instabilità delle differenti esperienze di governo succedutesi nel corso degli anni, sembrerebbe essersi cronicizzata come dato politico, tuttavia sembrerebbe altrettanto vero poter considerare l’assenza, per qualsivoglia ragione, anche di ordine pratico ed esperienziale, di forme di bilanciamento (si consideri a titolo esemplificativo l’esperienza del Pentapartito), per così dire, politico, all’interno stesso della coalizione di volta in volta interessata. E probabilmente, la realizzazione di riforme idonee a superare i confini del tempo, dovrebbe passare proprio attraverso la predisposizione di forme di adeguamento rispetto alle sollecitudini provenienti anche dalle forze politiche di opposizione.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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