Si trattava solamente di comprendere, e intraprendere, il percorso della logica “perversa” del “pensiero lineare” il quale, proprio per il suo essere tale, poteva apparire quasi banale, scontato, addirittura poco avvincente ma per ciò stesso infallibile. E infatti, come volevasi dimostrare, sia pure quale conseguenza di una intera settimana trascorsa all’insegna delle massacranti “boutade” di una politica indecorosa e irresponsabile, Sergio Mattarella fu.

Il problema è solamente quello di essere pervenuti all’unica soluzione utile e praticabile dopo interminabili sette giorni di agonia, nel corso dei quali lo “spettacolino” della politica ha voluto mandare in scena, probabilmente suo malgrado, il degrado che si andava consumando all’interno delle singole coalizioni le quali, invero, sono apparse fin da subito maggiormente interessate a condurre le proprie guerre intestine piuttosto che a cercare di intavolare trattative finalisticamente orientate alla elezione del Presidente della Repubblica. Intendiamoci: che sarebbe andata così credo non ci fossero dubbi, siccome le questioni sul tappeto erano e sono tali e tante da non consentire di lasciare spazio alcuno a dubbi di sorta sulle ondulazioni del percorso decisionale seguito dagli schieramenti interessati.

Intanto perché la riforma costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, in forza dell’assenso prestato dalla maggioranza degli elettori, ha riverberato i suoi effetti anche sulla legge elettorale vigente, il cosiddetto “Rosatellum”, imponendo fin da subito la ridefinizione dei collegi plurinominali e uninominali previsti da questo sistema al fine di adeguarli ai nuovi numeri.

Quindi perché, sebbene la ridefinizione sia intervenuta tenendo conto della coerenza del bacino territoriale di riferimento, della omogeneità economico-sociale, delle caratteristiche storico-culturali e della contiguità territoriale delle aree interessate, tuttavia essa non può che comportare una drastica, e non sempre opportuna, riduzione di garanzie nei termini ristretti della pura e semplice rappresentatività.

Infine perché, in assenza di ulteriori correttivi e/o di soluzioni inedite adottate in coerenza ai capisaldi costituzionali, la riforma della legge elettorale potrebbe passare attraverso il previo abbandono della componente maggioritaria del “Rosatellum”, per prediligere un cosiddetto sistema “proporzionale puro” di ispirazione tedesca (il “Germanicum” per dirla in breve) utile a favorire la eliminazione dei collegi uninominali per consentire ai partiti di presentarsi alle prossime politiche sempre e comunque in “coalizione”.

Ebbene. Ferme restando le obiezioni inerenti i profili di governabilità susseguenti alla competizione elettorale i quali, verosimilmente, se per un verso impedirebbero ai singoli partiti di raggiungere la maggioranza assoluta, per l’altro verso indurrebbero gli stessi a ricercare la formazione di ulteriori coalizioni post-elettorali per la formazione del governo, quale ulteriore configurazione dovrebbe assumere la nuova legge elettorale se quelle stesse coalizioni, perlomeno come tradizionalmente intese, sono miseramente implose sull’onda dei propri conflitti intestini? Esiste ancora il sistema bi-polare? È corretto discutere questi aspetti nella situazione contingente che, per le innumerevoli criticità di ordine economico e sanitario, richiede la più sollecita priorità?

Purtroppo gli interrogativi sono tutti di necessaria definizione perché, inevitabilmente, la pronta risoluzione dei problemi degli italiani richiede una classe politica dirigenziale stabile, e prima ancora responsabile e competente. Oramai, se è vero che non esistono più elettori “stabili” e “ideologizzati”, allo stesso modo è altrettanto vero che l’azione politica portata avanti in “coalizione” si è rivelata gravemente deficitaria per la frammentarietà e l’eterogeneità componentistica interna che ha impedito di rinvenire un apprezzabile equilibrio sistemico bipolare. L’asse destra-sinistra non riesce più ad esprimere il sentimento popolare il quale, considerati pure gli sviluppi delle recenti “tornate elettorali” che hanno visto prevalere il “Partito degli Astensionisti”, appare maggiormente condizionato dalla forza centripeta e centrifuga dei rapporti tra “centro” e “periferia” che, a sua volta, presuppone e impone l’affermazione del conflitto muscolare tra singoli schieramenti con ogni conseguenza sul piano della cronica instabilità governativa.

L’attuale “bipolarismo”, per dirlo altrimenti e più semplicemente, è assai più fragile rispetto a quello delle sue origini, ed è pervenuto a una tale condizione di evanescenza funzionale e programmatica da porre più che una perplessità sulla opportunità della sua persistenza. Ma il fatto che, alle condizioni date, non sia possibile rinvenire una alternativa credibile a questo impietoso stato di cose, non significa certamente che non si possano comunque predisporre le condizioni per la formalizzazione di un sistema parallelo a quello partitico e fondato sui criteri di una pura e semplice amministrazione competente e razionale condotta con prudenza e cautela a favore del Popolo e non invece a favore dei grandi potentati internazionali. In un Paese senza una “destra” credibile e senza una “sinistra” fortemente democratica, occorre avviare un processo profondo e consapevole di rifondazione che coinvolga non soltanto quelli che un tempo venivano chiamati “movimenti sociali”, ma anche e soprattutto le “masse”, rimaste orfane di propri rappresentanti seriamente impegnati nel perseguimento del migliore interesse comune per essere sospinti unicamente (ma forse è solo una candida utopia) da impulsi mutualistici e solidaristici da porre a fondamento di una visione alternativa possibilistica della società presente e di quella futura. Al proposito, i partiti, o perlomeno certuni, dovrebbero smetterla di cercare di scrollarsi di dosso le proprie responsabilità puntando il dito sull’assenza di un sistema che preveda l’elezione diretta del Capo dello Stato.

Non è certo questo il momento di sollevare ulteriori criticità sulla attuale forma di governo basata sulla fiducia parlamentare. E non è certo questo il momento di pensare ad una riforma dal carattere complesso e fortemente autoritario traducentesi in un inutile e dannoso rafforzamento dei poteri presidenziali e di quelli già considerati “forti” che finirebbe per compromettere la vita democratica dell’intera Nazione. Ora è il momento di pensare unicamente all’interesse comune di un Popolo drasticamente provato e soggiogato dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro e di liquidità utile non solo a “sbarcare il lunario” ma anche a far fronte ai vari impegni economici che la quotidianità impone. Siamo un Paese in ginocchio, e prima si interviene meglio è per tutti. Se la Politica continua a rivelarsi inidonea allo scopo ponendosi su un piano di irrilevanza decisionale, allora non resta che privarla definitivamente delle sue prerogative, perché di tutto in questo momento abbiamo bisogno fuorché dell’inconcludenza programmatica. È tempo che i rappresentanti del Popolo, tutti i rappresentanti del Popolo, ne prendano atto, perché la situazione è giunta ad un livello tale da non ammettere defezioni. Meno male che, dopo tutto, Sergio Mattarella ancora c’è.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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