Che Giorgia Meloni paia essere e restare leader di opposizione appare come la sensazione probabilmente dominante. La gestione della questione migratoria non sembrerebbe lasciare spazio a dubbi di sorta in considerazione del fatto che è stata condotta non solo sull’onda di uno slancio tutto sommato “populista” di memoria “giallo-verde”, ma anche al di là e oltre ogni minimo tentativo di cooperazione internazionale diplomatica.

Delle due l’una: o si resta a capo dell’opposizione di Governo, oppure ci si rassegna a indossare le vesti ufficiali, e certamente meno “popolari”, dell’Istituzione che si è chiamati a rappresentare. “Tertium non datur”. Non è un mistero per nessuno che ogni nuovo governo viva, al momento stesso del suo insediamento, un periodo di durata variabile, ma comunque assai breve, che potremmo definire di “luna di miele” secondo una definizione a tutti nota, siccome parrebbe collocarsi tra un parametro di novità rispetto a un “prima” assai poco convincente, e un “dopo” ricolmo di “speranza” percepito, a livello potenziale, come “realistico e concreto”.

Il problema per il nuovo Presidente del Consiglio pare essere dunque unicamente quello di conservare un indice elevato di gradimento proprio attraverso la gestione muscolare, ma pure assai poco convincente nel medio-lungo periodo, della questione dei flussi migratori. Peccato soltanto che la “fiammata” ingenerata dal classico scambio dialettico Unione Europea-Governo Italiano sia effimera come un qualunque fuoco di paglia e che anche Giorgia Meloni, per quanto si impegni a ritardare il momento, dovrà rassegnarsi al confronto con quello che si pone come il vero e unico implacabile leader dell’opposizione di governo: quello rappresentato dal cosiddetto “dato di realtà” (cit. Buttafuoco) con il quale occorre iniziare a fare i conti offrendo risposte non certo miracolose, ma comunque utili ad affrontare la crisi economica e sociale contingente.

Creare crisi diplomatiche costringendo le Istituzioni europee a rammentare ai nostri Organi di Governo i doveri di soccorso che incombono sugli Stati aderenti agli accordi internazionali aventi rilievo costituzionale non pare il modo migliore per ottenere il credito necessario a conferire all’Italia la “credibilità” di cui necessita per affacciarsi convintamente al Mondo globalizzato facendo valere il proprio “peso”. Il fraintendimento stesso intercorso sul piano dialettico con la Francia di Macron sulla eventuale cooperazione nella gestione dei migranti lascia trasparire la pur comprensibile carenza di attitudine, del tutto giustificabile per essere ella alla prima esperienza di governo, del nostro Presidente del Consiglio nel gestire le sottigliezze delle dinamiche diplomatiche.

Detto altrimenti: l’invito rivolto agli Stati dalla Commissione Europea e diretto a sollecitare la cooperazione tra gli stessi per “fornire una risposta comune, dando priorità assoluta al carattere sacro della vita”, lungi dal poter essere letto in senso assertivo rispetto alle doglianze sollevate dal Governo Italiano in maniera fin troppo muscolare, rappresenta piuttosto il chiaro e inequivocabile tentativo di placare le tensioni, intestine e non, che indirettamente avevano iniziato ad interessare le Cancellerie maggiormente rappresentative di Francia e Germania, e che rischiavano di minare gli equilibri, già fragili e precari di una unione Europea tutta da rifare.

A ben considerare, tuttavia, la circostanza, o meglio l’“incidente internazionale” verificatosi, sarebbe da tenere nella corretta considerazione da parte dell’attuale Presidente del Consiglio sul piano dei riflessi della politica interna e della gestione dei rapporti di forza con le formazioni di maggioranza, dal momento che l’opposizione vera, quella potenzialmente idonea a porre nel nulla l’attuale esecutivo, è proprio e solo quella interna, interessata a sottrarre alla leader di Fratelli d’Italia lo scettro del comando e quindi ad avvalersi di ogni argomentazione utile in tal senso.

Per farla breve: se fino ad oggi Giorgia Meloni non poteva essere ritenuta in alcun modo responsabile delle scelte di governo per essere sempre consapevolmente rimasta al di fuori di ogni compagine di maggioranza, oggi la situazione è decisamente cambiata, e se farà “bene” o “male” allora sarà necessariamente l’esito di un suo “merito” o di un suo “demerito”. E pertanto. Sicuramente l’Europa appare in difficoltà nel fornire una risposta alle sfide rappresentate dalla gestione dei flussi migratori che premono alle frontiere. Sicuramente manca una “risposta unitaria” al problema nonostante il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea esprima imprescindibili orientamenti di massima sulla necessità di attualizzare una politica di asilo comune e di realizzare opportune condizioni di solidarietà tra gli Stati Membri anche e soprattutto sul piano finanziario. Certamente ancora oggi difetta una politica europea che sia in grado di garantire una equazione stabile tra migrazioni e sviluppo. Le circostanze appaiono nella loro incontestabilità. Ma l’errore di Giorgia Meloni, nella specifica circostanza, a quanto è dato comprendere alla luce di un esame generale della questione, è stato solo quello di voler perseguire un risultato giusto con metodi erronei di matrice “populista” che potrebbero contribuire a minarne la credibilità sul piano internazionale.

Il primo obiettivo, per l’Italia dell’attuale Presidente del Consiglio, è quello di ridefinire le relazioni euro-mediterranee, le quali rappresentano il punto di partenza e di arrivo di ogni criticità legata alla gestione dei flussi, e non solo, siccome dalla loro opportuna gestione può ben dipendere il futuro rapporto tra l’Occidente e l’Oriente il quale ultimo, lungi dall’essere temuto, dovrebbe essere vissuto come opportunità di crescita economica attraverso un sapiente ed equilibrato gioco di scambi diplomatici ed economici. “Conoscere per Crescere”: questo dovrebbe costituire il paradigma di governo, in ogni settore della vita. A prescindere dal fatto che possa piacere o meno l’ideologia di Giorgia Meloni, oggi lei è la nostra Presidente del Consiglio e come tale è chiamata a rispondere tanto a coloro che l’hanno votata quanto a tutti gli altri. E innegabilmente possiede sufficienti doti di determinazione e fermezza che possono aiutarla a ben governare senza sbavature o eccessi di sorta.

Sul piano della gestione dei flussi, il punto di partenza deve essere individuato nel riprendere dove ci eravamo lasciati, ossia ai tempi del summit di Tampere del 1999 e del Trattato di Amsterdam del 1997, allorquando si tentò di conseguire una politica migratoria comune e disancorata dai perimetri nazionali nel tentativo di superare le posizioni assai difformi che si agitano nel perimetro, assai più esteso, di rilievo “unionale” e che sono certamente favorite dalla “Dublin Regulation”. L’Europa deve diventare autentica dimensione di “Civil power”, e Giorgia Meloni, se davvero volesse conquistare posizioni di credibilità, dovrebbe lavorare per questo, ossia per realizzare una Europa di “democrazia” e “diritti” aprendosi al Mondo e alla diversità. Non è richiesto che persegua l’obiettivo nei suoi cinque anni di governo, ma anche il solo iniziare un percorso serio in tal senso potrebbe costituire e rappresentare la chiave di volta. E certamente l’Italia ne ritrarrebbe un sicuro beneficio anche sul piano economico e sociale attraverso un evidente miglioramento delle condizioni di vita.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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