Non aveva alcuna intenzione di incontrarmi. Il suo incedere del resto non mitigava il suo piglio sbrigativo. Mi venne incontro con cortesia, ma il suo sguardo era risoluto. Quando arrivai in quella sua privatissima residenza di Villa Macherio, estrema periferia della metropoli milanese, non ebbe riserve a farmelo capire. In realtà, di quell’appuntamento al buio, non sapevo niente nemmeno io. Il suo amico di sempre, Romano Comincioli, irrequieto e burbero compagno di scuola, che avevo conosciuto per la prima volta la mattina precedente, mi aveva chiesto di rendermi disponibile per una chiacchierata il giorno dopo con un suo amico. Ero a Milano, per caso, come Sindaco di Iglesias, per presentare alla Borsa Internazionale del Turismo i progetti di riconversione turistica delle aree minerarie.

Quella radiolina in off

L’anno era il 1999, il mese quello di febbraio. Il giorno prescelto era domenica, quello della Santa messa. Dal giardino reale ad uno studiolo paglierino il passo fu breve. Una radiolina in sottofondo trasmette Radio Radicale. Prima di spegnerla c’è da seguire in religioso silenzio il suo saluto ad una convention di anziani, registrato il giorno prima. La domanda è a bruciapelo, proprio quando le manopole della radio si rivolgono verso l’off: «A cosa debbo la sua visita?».

Scherzo in grande stile

Sono spiazzato, penso ad uno scherzo organizzato comunque in grande stile, ma decido di non precipitare negli abissi dell’imbarazzo. Lo guardo, sorrido e mi arrampico in una risposta: «Il suo compagno di scuola mi voleva far conoscere un suo amico d’infanzia. Non avrei mai pensato di incontrare Silvio Berlusconi. E disturbarla di domenica mattina». Lui non si arrende: «Adesso, però, siete qui. La domenica è bella che andata. Cerchiamo di renderla produttiva». Dal cassetto della scrivania d’altri tempi estrae un block notes squadrettato come ai tempi delle elementari. Rifugge dalle Montblanc e afferra una “tratto pen” azzurra, quella per segnare gli errori. Il primo foglio non è in bianco. Ha degli appunti. Li snocciola, uno per uno.

Grazie e arriverderci

Sono i siluri della politica, i dossier che dalla Sardegna gli avevano inviato per demolire sul nascere ogni contendente. L’esordio delle domande è tutto all’attacco: «Mi dicono che lei sia un antipartito. Per quale motivo un movimento come Forza Italia dovrebbe dialogare con lei?». Lo scherzo comincia a pesarmi. Prendo coraggio. Dissuado la tensione con auspicio risolutore. Tra me e me pensai: gli rispondo senza preamboli, dieci minuti, due battute, grazie dell'incontro e arrivederci. In realtà, non finirà così. Dopo avergli spiegato che facevo felicemente il Sindaco della mia città, che avevo un sacco di progetti da realizzare e che non ero interessato a nessun tipo di candidatura, saltò piè pari tutti gli appunti della dietrologia sarda.

Fogli vergini

In un attimo quei fogli vergini incominciarono ad imprimere domande sempre più serrate. Le rivolgeva in modo incalzante, come se mi stesse interrogando. Quesiti puntuali, sulla Sardegna e i suoi problemi, le possibili soluzioni, le strategie e le idee per il futuro. Il confronto fu deciso e franco, sollevò riserve su alcune mie idee di gestione “pubblica” dell’economia, dall’energia ai trasporti. Ci confrontammo.

I nemici dell’Isola

Sostenni la tesi, per Roma azzardata, che la Sardegna non fosse Italia. Gli dissi che nell’Isola tutti venivano a fare legna e monopoli, da Alitalia a Tirrenia, da Enel all’Eni. Alla fine non mi diede torto. Il tempo scorreva. Il diario di quell’incontro era sempre più fitto. Dopo quasi due ore di botta e risposta sull’Isola paradiso, sulle sue meraviglie, sulle potenzialità inespresse, ci ritrovammo soli. Io e lui. Il suo compagno di scuola ci aveva abbandonato per immergersi nel labirinto di casa. In un attimo gettò alle ortiche quel «lei» che mi aveva riservato più per distacco che per cortesia.

Mano d’aiuto

La conclusione fu disarmante. «Ci sentiremo presto. Non preoccuparti, mi disse, salutandomi. Verrò in Sardegna a darti una mano per la campagna elettorale». Non avevo capito niente. O forse tutto. La cronaca di quelle settimane è impressa con fiumi d'inchiostro su cumuli di carta. Lo scontro è durissimo. Per uscire dal calvario nel miglior modo possibile, senza troppi danni prendo carta e computer: «Caro Presidente, credo non ci siano le condizioni per andare avanti con la mia candidatura. Per me resta comunque un’importante esperienza di vita. Meglio fare un passo indietro. Troppi contrasti, troppe guerre intestine. Meglio lasciar perdere».

Squilla il telefono

Passa qualche ora e squilla il telefono. Senza troppi preamboli, perentorio come non mai, mi dice: «Noi andiamo avanti, anche da soli. Dobbiamo cambiare la nostra Sardegna». La campagna elettorale fu entusiasmante. Gli attacchi degli avversari furono senza esclusione di colpi. Più si andava avanti, però, e più lui si convinceva che l’Isola era un altro continente. Voleva scoprire e conoscere, toccare con mano le zone interne e inerpicarsi nei villaggi minerari abbandonati.

La “Grande Bellezza”

Suggeriva, rifletteva a voce alta, traguardava questo paradiso al centro del Mediterraneo immaginandolo come la «Grande Bellezza» di un’Isola trasformata in una florida terra del sole. Il governo dell’Isola, nonostante l’abbondante vittoria, per via di un perverso meccanismo elettorale, arrivò solo due anni dopo. Con una coincidenza per la Sardegna senza precedenti. Silvio Berlusconi era diventato nel frattempo Presidente del Consiglio dei Ministri. Non c’è un solo giorno da perdere. Dopo nemmeno quaranta giorni dal mio insediamento a Villa Devoto, sede della Presidenza della Regione, convoca a Palazzo Chigi tutti i ministri più rilevanti per l’Isola.

Non una parata

Non una parata, ma una riunione operativa. È lui a sottoscrivere l’Intesa Istituzionale di programma, quella che stanzierà risorse importanti e decisive per strade e acqua, per trasporti ed energia. A dicembre del 2001 gli spiego che le compagnie aeree stanno bloccando la continuità territoriale, dalla compagnia di Stato a quelle private. Mi chiede cosa dovesse fare. Gli rispondo che i Ministri avrebbero dovuto firmare i decreti per far partire nelle more dei ricorsi la continuità territoriale aerea per la Sardegna.

Firmate la continuità

Non amava perdere tempo. Li chiama, senza tergiversare. L’ordine è perentorio: dovete firmare immediatamente. Il primo gennaio del 2002, per la prima volta nella storia autonomistica della Sardegna, parte la continuità territoriale. Si passa da un biglietto aereo di 200 euro a meno di 50. È una rivoluzione. A febbraio l’Isola è drammaticamente senza acqua. Chiedo poteri straordinari. Quelli di guerra.

I freni del Palazzo

Lo Stato centralista frena e si oppone. Da Guido Bertolaso, potentissimo capo della Protezione civile, agli uffici legislativi di Palazzo Chigi. L’argomentazione è scritta in un appunto che Berlusconi mi gira senza curarsi di loro. L’avversione è sintetica: non si possono concedere i poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri ad un Presidente di Regione, per giunta a Statuto speciale. È scritto a mano il post scriptum: «il Presidente sardo ha appena 35 anni». Berlusconi ama decidere. Convoca un vertice immediato nella sede del Governo: ci sono Bertolaso, Gianni Letta, il Segretario Generale Antonio Catricalà.

Mugugnano, ma lui firma

Mi dà subito la parola, sperando che la mia richiesta sia convincente. Spiego che se il decreto non sarà firmato, non mi resterà che dimettermi in giornata. In quel provvedimento ci sono risorse per un miliardo di euro, i poteri per gli espropri, per l’accelerazione in corso d’opera e per lavorare giorno e notte nei cantieri delle condotte. Mugugnano, gli altri. Berlusconi scippa la cartellina con i decreti e firma, con enfasi.

Anticipa tutti i tempi

Mi consegna il maltolto e mi sussurra: «Le opere per portare l’acqua a Cagliari falle finire un giorno prima così a questi signori glielo facciamo sapere per tempo come si risolvono i problemi». Al 48esimo giorno, se lo era appuntato, mi chiama in notturna per sapere lo stato dei lavori. La risposta non lo delude: «Stanotte attiviamo il collegamento con 48 ore d’anticipo». Il meccanismo fu collaudato: da quel momento il commissariamento divenne un metodo di governo.

Poteri alla Regione

Trasferire poteri dallo Stato alla Regione fu la scommessa per dare all’Isola strumenti che non aveva, decisivi per affrontare i cantieri delle strade da sempre a rallentatore, per gestire riforme e realizzare infrastrutture strategiche. L’Algeria nel frattempo propone il metanodotto per collegare il Magreb con l’Europa, attraverso la Sardegna. Obiettivo colmare un limite atavico dell’Isola, unica regione d’Europa senza metano. Le trattative con il governo di Algeri sono nelle mani della Regione sarda, ma la competenza è statale. Arriva la delega ufficiale a definire gli accordi. Una volta sottoscritti è Berlusconi in persona a trasformarli in legge dello Stato. Infine, la riforma federalista. È il 2009. Si discute su come gestire la coesione del Paese. Gli sottopongo un emendamento fondamentale da inserire nel testo di legge. Recita: «misurare e compensare il divario insulare». Convoca a Palazzo Chigi Roberto Maroni, Ministro dell’Interno e Roberto Calderoli, Ministro delle Riforme.

Misurare e compensare

È perentorio: «Su questo emendamento che obbliga lo Stato a misurare e compensare il divario insulare il Presidente del Consiglio pone la sua fiducia, deve essere approvato». Così sarà. Il suo messaggio dopo il voto è senza appello: «La Sardegna è nel mio cuore».

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