Si inganna colui che creda che le imminenti “presidenziali” siano questione marcatamente solo italiana, e ancora più si inganna chiunque pensi che quelle stesse “presidenziali” siano solamente l’esito delle decisioni di un litigioso e incerto consesso partitico allargato. In buona sostanza, se volessimo comprendere fino in fondo la dinamica posta a fondamento della imminente elezione del successore (degno o indegno poco importa) di Sergio Mattarella, dovremmo smettere di “guardare al dito”, ossia a quelle chiassose componenti partitiche, e concentrarci invece sulla “mutevole Luna”, ovverosia guardare con occhio critico ai mutamenti e alle inclinazioni ideologiche dell’indirizzo politico europeo, condizionato, a far data dal primo gennaio del corrente anno, dall’introdotto semestre di presidenza francese a guida di Emmanuel Macron. Anche l’elezione della maltese Roberta Metsola alla Presidenza del Parlamento Europeo ha il suo “perché” e, certamente, al di là della pura e semplice questione di genere, immotivatamente decantata da quanti si rivelino inclini all’apprezzamento di quelle forme più o meno velate di ipocrisia del “potere” e dei suoi riflessi pratici, tradisce, sul piano ideologico, la prossima involuzione, in senso ancora più marcatamente “nazionalistico”, dell’Unione, destinata oramai a sopravvivere quale mero potentato di interessi diplomatico-economici asserviti alle esigenze delle “cancellerie” di riferimento tra le quali non appare certamente ricompresa quella debolissima romana.

Se così non fosse, non si comprenderebbe la ragione per cui la componente socialdemocratica e liberale europea abbia potuto sostenere la candidatura di una deputata espressione di “posizioni” (anti-abortiste) contrastanti rispetto a quelle di cui all’Istituzione di riferimento, ove la tutela dei diritti delle donne ha costituito l’oggetto prevalente di numerose risoluzioni. Il gioco delle vili “spartizioni” all’interno dei centri potere, ancora una volta, l’ha fatta da padrone, e tutto lascia credere che per nulla diversa sarà la condizione italiana, schiava, oggi più che mai, dell’asservimento comandato ai condizionamenti provenienti da un “esterno” allargato ed esteso in vario modo da ponente a levante, dagli Stati Uniti alla Cina i quali, dal canto loro, lungi dal considerare il Vecchio Continente come “partner” commerciale strategico e centro autonomo portatore di interessi intermedi, lo hanno invece guardato, e continuano spudoratamente a guardarlo, solo e unicamente come potenziale terra di conquista.

Ma abbiamo ben poco, purtroppo, da piangerci addosso siccome quella declassante “considerazione” internazionale è il frutto di una cattiva gestione dell’interesse democratico dell’Unione Europea innanzitutto, e dei vari Paesi Membri di conseguenza. Ma se così è, come davvero pare essere, in che modo l’elezione di Roberta Metsola alla Presidenza del Parlamento Europeo può condizionare la scelta del prossimo Presidente della Repubblica italiana? E, in particolare, può davvero condizionarla?

Le risposte sono, come sempre, naturalmente conseguenti. Intanto, perché, al di là e oltre ogni spicciola considerazione di carattere “domestico”, è innegabile che quella presidenziale sia da sempre una elezione dal carattere fortemente “sistemico”, destinata ad incidere sulle sorti delle relazioni diplomatiche Romano-Parigine, Romano-Berlinesi e Romano-Vaticanensi sulla scia di una esegesi accentratrice del potere e dei poteri che, raramente, e più per scelta che per circostanza, finisce per riflettersi a vantaggio della componente romana.

Quindi perché proprio quella sistematicità appare garantita, malgrado gli inutili tentativi direttamente orientati a pilotarla in senso conformante, dalle dinamiche della segretezza del voto, dalla inesistenza di candidature spontanee, e dalla trasversalità ai partiti quali “giocatori” inconsapevoli di un “poker” truccato proprio da “Chi” (l’Istituzione Presidenziale in sé e per sé considerata) si sia fatto lecito, e si faccia lecito, di distribuire le carte.

Infine perché, a ben considerare, attorno alla elezione del Presidente della Repubblica, sono destinati ad incrociarsi poteri differenti che, al di là di quello puramente e semplicemente democratico e rappresentativo, contribuiscono, o dovrebbero contribuire, a definire gli interessi strategici del Paese nelle sue relazioni con l’Unione, sempre più marcatamente “nazionalista” e sempre meno propensa a pensare a se stessa nella sua unitarietà componenziale, e nelle sue relazioni con i grandi potentati internazionali, portati a concepire la globalizzazione come opportunità di crescita politica ed economica da contrapporre alle logiche della territorialità.

Detto altrimenti, e più chiaramente: la presidenza maltese della Metsola, conservatrice per vizio d’origine e progressista per circostanza, è un chiarissimo segnale di indirizzo ordinamentale che, lungi dal favorire condizioni di equilibrio tra i diversi Paesi Membri, contribuirà al processo di progressiva e lenta gerarchizzazione delle istituzioni europee all’interno della quali l’Italia sarà solo una pedina da tenere in considerazione all’occorrenza. In questo senso, le imminenti presidenziali potrebbero costituire l’occasione per invertire questo processo degenerativo, ma è necessario prima ancora che opportuno che il Parlamento ritrovi il coraggio di esprimere un Presidente consapevole di voler fare l’interesse del Paese. Questo Presidente, dunque, per evidenti ragioni, non potrà mai essere Mario Draghi, per sua natura chiamato a fare solo e soltanto l’interesse sovra-nazionale.

Se tale è la premessa, allora, di conseguenza, i partiti dovranno, loro malgrado, non solo abbandonare ogni logica di comodo auto-commissariamento e tornare, laddove possibile, protagonisti dei destini della Repubblica, ma anche abbandonare la logica dei “blocchi”, tanto di centro-destra quanto di centro-sinistra, concentrandosi su un accordo di ampio respiro che prescinda dall’interesse personalistico dell’una o dell’altra coalizione, il quale, in forza del ragionamento condotto, nulla ha a che vedere, in realtà, con i meccanismi della scelta. Il vero pericolo, e forse non tutti lo intravedono, è che venga a persistere una condizione di stallo cagionata dall’altalenante disaccordo tra i partiti, la quale finirebbe per condannare definitivamente l’Italia all’irrilevanza internazionale proprio in ragione della sua instabilità interna.

Tutto sommato, e malgrado si sia affrettato a preparare le valigie, il secondo mandato di Sergio Mattarella, per quanto improbabile, sembra apparire quale unica via d’uscita: situazione, quest’ultima, che lungi dal sotto-intendere la permanenza di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio, dovrebbe ispirare la componente politica del Paese, e riportare al centro una Politica autentica finalmente orientata a guardare alla realtà contingente per risolverne le criticità economiche e sanitarie.

Se Roberta Metsola è l’espressione del nazionalismo identitario infra-unionale, chiamata, malgrado i proclami e le premesse dogmatiche, a portare avanti non meglio definiti obiettivi politici inevitabilmente condizionati dalla sua affiliazione politica, il Presidente della Repubblica italiano dovrà essere marcatamente europeista, decisamente inclusivo e fortemente “socialista” se vorrà incidere da leader nei processi di presente e futura integrazione democratica. Intendiamoci: se è vero, come è vero, che l’Europa è composta da Stati-Nazione, tuttavia è altrettanto vero che quegli Stati Nazione andrebbero integrati in senso paritario. Eppure, l’Europa, con l’elezione di Roberta Metsola, ha dato corpo a una antica e mai dimenticata tentazione, quella alla pura e sterile “assimilazione” la quale, invero, ha sempre avuto e continua ad avere un sapore marcatamente utopistico per l’impossibilità pratica della sua realizzazione in senso democratico. Metsola, per essere più chiari, è l’emblema di questo “fraintendimento”, voluto e perseguito, parrebbe, proprio per arginare le aspirazioni di crescita politica ed economica dei potenziali competitor di Paesi come Francia e Germania innanzitutto.

Per questo, il prossimo inquilino del Quirinale sarà chiamato a portare su di sé tutto il peso delle contraddittorietà del sistema e dei sistemi: “error non datur”. E questo, purtroppo, è lo scoglio più duro da superare.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato- Nuoro)

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