Se per il Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, “sarebbe sleale impegnarsi con programmi inattuabili che alimentano aspettative, ben sapendo di non poterle realizzare”, per altri, “questo Parlamento con Pd e 5Stelle non farà mai una riforma della giustizia”. Queste, in particolare, le parole di Matteo Salvini nel salotto di “Porta a Porta”. Non è una casualità, né tanto meno una pura e semplice “boutade” in tipico stile populista-padano. Piuttosto sembra trattarsi, per un verso, di una iniziativa estrema “autoriferita” sul piano personalistico in aperto dispregio di ogni logica di buon governo repellente ogni forma di personalizzazione delle politiche istituzionali, e finalisticamente orientata, peraltro, a contrastare la inarrestabile “escalation” della amica-rivale Giorgia Meloni e, per altro verso, di un tentativo tutt’altro che originale e poco creativo (considerata la vetustà delle tematiche rilanciate all’attenzione generale) di  esprimere una forma di “ricatto” nei confronti del Governo Draghi di cosiddetta sedicente “Unità Nazionale” al solo scopo di acquisire maggior peso politico all’interno dello stesso ed orientarne in maniera significativa ed inequivocabile le decisioni.

Lo si può intuire chiaramente dai contenuti delle questioni evidenziate e portate platealmente all’attenzione generale, tutte vertenti su “affari” (responsabilità penale dei giudici, separazione delle carriere, abolizione della Legge Severino) non solo profondamente divisivi siccome incidenti direttamente sull’impianto cardinale del sistema giustizia, ma anche di contrastata soluzione pratica e, di conseguenza, poco conformanti rispetto a soluzioni temporalmente utili nella contingenza del momento presente, vincolato evidentemente alla predisposizione di “programmi”, per così dire “solutori”, improntati al requisito della pronta realizzabilità ed efficacia siccome direttamente e temporalmente connessi alla potenziale erogazione dei Fondi del Recovery europeo. Sicchè, tale essendo, con buona verosimiglianza, la “lettura privilegiata” da offrirsi rispetto alla vicissitudine testè descritta, non vi sarebbe da stupirsi oltre misura se siffatta medesima “vicissitudine”, dal sapore estemporaneo e profondamente propagandistico, fosse destinata a sciogliersi come neve al sole per essere sopraffatta dall’impellenza imposta dalle congiunture del quotidiano e dall’azione generale di Governo.

Il Primo\u00A0Ministro Mario Draghi (Ansa)
Il Primo\u00A0Ministro Mario Draghi (Ansa)
Il Primo Ministro Mario Draghi (Ansa)

Ebbene, tanto brevemente chiarito sul piano intenzionale, sarebbe comunque un errore di non scarso rilievo sottovalutare ulteriori differenti profili interpretativi che, in vario modo, contribuiscono, per un verso, a declinare verso esiti deformanti “iniziative” di carattere autonomo in seno alla attuale maggioranza (quale appunto quella del leader leghista), idonee a legittimare, per ciò stesso, il sorgere di contrapposizioni strumentali (quale quella con Enrico Letta, Segretario Dem) utili solamente a favorire ambiti di “crisi calibrata” su perimetri di “continenza imposta” e, per altro verso, contribuiscono altresì a definire e qualificare la scelta, da parte dello stesso Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, di taluni “percorsi” pericolosamente “generalizzanti”, e per ciò stesso scarsamente proficui nel medio/lungo termine, a tutto discapito di “altri” altamente “qualificanti” sul piano riformatore come autenticamente concepito al fine di evitare le solite dinamiche interventistiche del “tanto per”.

In buona sostanza, se volessimo veramente comprendere il significato politico-giuridico dell’intera vicenda, osservando la “triangolatura” politico-ideologica interna (Mario Draghi-Marta Cartabia-Matteo Salvini) sotto la lente di ingrandimento dell’approccio critico serrato, dovremmo, preliminarmente, tenere nella debita considerazione, ai fini della sua compiuta decifrazione e decrittazione, taluni ordini di circostanze qualificanti: intanto, quella per cui nessuno, o quasi, all’inizio della attuale legislatura, avrebbe potuto individuare nella rinnovanda gestione del sistema “giustizia” uno dei pilastri portanti e altamente significativi dell’azione di governo; quindi, quella per cui la “giustizia” ha costantemente rappresentato, nel corso degli anni, un autentico campo minato, un’area di conflitto aperto, “armato e non”, non solo tra le forze politiche contrapposte, ma anche tra gli stessi soggetti protagonisti della giurisdizione, e tra la politica e la magistratura; inoltre, quella per cui, sul piano squisitamente capillare e territoriale, i singoli Uffici Giudiziari vivono da sempre, e sono da sempre sopraffatti, dalla tendenza a “replicare” a livello locale particolaristico l’impianto a “compartimenti stagni”, a “stanze non comunicanti” tipico dei vertici di sistema, ossia la caratterizzazione organizzativa involgente la rigida separazione tra la magistratura, specie quella “togata”, ed il personale amministrativo quale espressione di una inclinazione all’autodeterminazione disarticolata, talvolta, rispetto al sistema burocratico di riferimento, o che come tale dovrebbe porsi, e/o avrebbe dovuto porsi, con ogni conseguenza sul piano del dilagare dei particolarismi di circostanza; infine, quella ulteriore e determinante per cui anche le maggioranze di governo tipicamente “omogenee” si sono costantemente arenate, nello specifico settore di intervento, dinanzi alle scelte più complesse sul piano attuativo.

Matteo Salvini (Ansa)
Matteo Salvini (Ansa)
Matteo Salvini (Ansa)

Con quali speranze di successo, quindi, nel contesto di un quadro parlamentare estremamente frammentato, caratterizzato da una maggioranza di governo profondamente “eterogenea” e conflittuale, si può anche solo addivenire ad un approccio sereno rispetto alla sfida ciclopica di riformare “a stretto giro di posta” la giustizia italiana e di intervenire sui nodi ancora irrisolti che la attanagliano per essere il risultato dell’immobilismo sistematico tipico di decenni trascorsi nell’indifferenza “funzionale” e “strumentale” rispetto a tematiche di interesse generale involgenti i principi cardine non solo della giustizia civile e penale italiana ma anche dell’ordinamento sociale? Le sole peculiarità strutturali dell’attuale sistema giustizia sarebbero di per se sole idonee a consentire il riconoscimento e l’identificazione di una probabile “resistenza ciclica” all’introduzione del “cambiamento”, sia pure “soft”, proprio nel momento in cui sarebbe assolutamente necessario, come di fatto lo è, rafforzare il sistema dei “diritti” e delle “garanzie” siccome funzionali al progressivo miglioramento della efficacia e della efficienza degli Uffici Giudiziari complessivamente considerati. Tanto più, allorquando, l’esigenza di procedere attraverso la predisposizione di misure urgenti debba oggi essere letta e condivisa rispetto ad un duplice ordine di ragionamento: quello involgente la pressione proveniente dagli organismi internazionali con specifico riferimento all’inefficienza del sistema “giustizia”, la quale si riverbera direttamente ed indirettamente sulla scarsa competitività del sistema “Italia” latamente considerato e, quindi, sulla sua scarsa apprezzabilità “esterna”; e quello, tutt’altro che secondario, concernente la dinamica/diatriba politica interna al Paese, caratterizzata, ciclicamente, quando dal succedersi di governi finalisticamente orientati all’attenuazione del conflitto tra politica e magistratura, e quindi operativamente portati alla predisposizione di riforme involgenti i meccanismi di funzionamento degli uffici e la distribuzione territoriale degli stessi, e quando dal succedersi di governi che, invece, siffatto conflitto lo hanno sempre accentuato siccome concepito, a ragione o a torto lo dirà il Tempo, per essere la causa ed il fine di un sistema di corruzione da estirparsi in radice e legittimante, tuttavia, in funzione giustificatrice (si perdoni il gioco di parole), gli insuccessi continui ed endemici dell’azione politica interna patologicamente influenzata dall’elevata percentuale di obsolescenza delle capacità interventistiche in tutti quegli ambiti, “giustizia” compresa, che avrebbero necessitato di un continuo lavorio di aggiornamento ed adeguamento. Insomma, a conti fatti, e considerato il continuo altalenante impulso riformatore, credo che nonostante l’impegno proferito da Marta Cartabia, sia ancora troppo presto per sperare nella costruzione di un nuovissimo “Ordo Judiciarius” che possa dirsi davvero “solutorio”, siccome ancora attualmente viziato, anche nei suoi percorsi riformatori attuali, dall’evanescenza della disciplina che vorrebbe costituirne il fondamento (considerati i punti cardine della riforma), e dalla estrema generalizzazione dei presupposti qualificanti siccome ancorati, come sempre, all’esigenza, decisamente opaca in se e per se considerata, di perseguire, tra l’altro, il puro e semplice snellimento del contenzioso. In un contesto siffatto, purtroppo, le varie forze politiche di sistema, sono naturalmente portate a rinvenire l’humus ideale per radicare ed alimentare diatribe propagandistiche interne in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, ma che, se esasperatamente condotte, potrebbero addirittura determinare la caduta del Governo prima dello scoccare del cosiddetto “semestre bianco”.

Il contrasto acceso su una tematica quale quella relativa all’organizzazione del sistema “giustizia”, infatti, costituisce da sempre il riflesso patologico di un sistema “Paese” incapace di disfarsi dalle trame interne di “percorsi” prestabiliti “a priori” e fortemente radicalizzati. Ed è da qui che dovrebbe partire una Riforma che voglia definirsi realmente tale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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