Tosta come le idee che rappresenta. Curriculum politico lungo dieci anni di militanza in An, dal 2002 è presidente del movimento Azione Giovani che lei chiama «la mia comunità». Un impegno studentesco iniziato al liceo e proseguito all'università, a ventott'anni Giorgia Meloni fa il grande salto: dalla scorsa settimana siede a Montecitorio, la più giovane parlamentare, da ieri vicepresidente alla Camera dei deputati. E nessuno le rimproveri di essersi presentata il primo giorno in jeans, camicia e giacca. Qualcuno l'ha fatto e lei ha scomodato persino un autorevole quotidiano per far sapere di essersi vestita da uomo «perché in aula troppi uomini vestono da donna». Riferimento casuale? «Era una battuta per stigmatizzare. Una donna non deve necessariamente indossare la minigonna per essere all'altezza di un ruolo». Ovvero: «Carattere e determinazione sono il sale per raggiungere vette e stanze dei bottoni». E lei giura di averne da vendere, anche per quella componente sarda che le deriva dalla paternità (ha origini a Oristano) anche se non può dirsi politicamente figlia di quel padre che non vede da anni: «Mi dicono sia di sinistra, mia madre è di An».

Cresciuta alla Garbatella (quartiere popolare di Roma), collegio storicamente di sinistra che nel '98 l'ha spedita dritta nel Consiglio provinciale con il 30 per cento delle preferenze. Suo pallino vecchio e nuovo: creare strutture alternative ai Centri sociali. «Non in contrapposizione a quelli di sinistra, ma per creare spazi di aggregazione giovanile dove la politica resti fuori». Ci farebbe entrare un alternativo? «Non concepisco spazi chiusi dove si organizza la violenza o si esclude chi la pensa diversamente; penso a luoghi aperti per discutere di libri, musica, arte, teatro e crescere insieme. La mancanza di questi spazi fa proliferare i centri cosiddetti sociali e inutili».

Si aspettava la vicepresidenza alla Camera?

«Ci speravo. Sarà una sfida ma le sfide non mi spaventano, mi entusiasmano».

La sua candidatura un premio-partita?

«Credo sia un riconoscimento non a me, ma al Movimento giovanile di An che ha contribuito notevolmente alla crescita del partito».

Com'è andata la prima giornata in aula?

«Un po' al cardiopalma. Entrare per la prima volta in un'aula intrisa di storia emoziona e fa sentire una responsabilità enorme».

Chi erano i suoi vicini di banco?

«Ancora non sono stati decisi. Ho seguito il discorso di Bertinotti con Ronchelli che mi ha cresciuta e l'ho commentato con Lo Presti».

Cosa ne pensa?

«È stato un discorso di parte e troppo ideologico che ha fatto tornare indietro la Camera di anni. Ha parlato alla metà dell'Italia, come se l'altra non esistesse».

Come la trattano i veterani del suo partito?

«In An non c'è maschilismo, i nostri parlamentari sono elevati rispetto a certi argomenti e l'apertura di Fini lo dimostra ampiamente».

A Cagliari ha molti seguaci: campanilismo o sarebbe così anche se non avesse radici sarde?

«Siamo cresciuti in tutta la Sardegna. C'è una splendida classe dirigente in una terra dove c'è senso di appartenenza, e il rispetto dei valori tradizionali non è un optional».

Quanto si identifica nei sardi?

«Direi molto. Credo di averne ereditato testardaggine e determinazione. Aggiungo che sono del Capricorno e il quadro è completo».

A chi deve la scalata in politica?

«Alla mia comunità, umana e politica, che ha condiviso con me il lavoro di questi anni. Un grazie pure a Fini, che ha creduto e investito nel mondo giovanile».

Da cosa è scaturita la sua appartenenza a destra?

«Avevo 15 anni, c'era Tangentopoli e la fine della prima Repubblica. I motivi scatenanti sono stati le stragi di mafia, mi avevano colpito la morte di Falcone e Borsellino. Il Fronte della gioventù mi sembrava la più felice alternativa all'arroganza di certa sinistra, di certi compagni di scuola che parlavano di democrazia ma se non la pensavi come loro eri un nemico da abbattere».

Il suo modello?

«Non ne ho. Stimo tante persone, ma penso che ognuno debba costruire il proprio. Abbiamo un codice genetico unico e irripetibile e dobbiamo utilizzarlo al massimo senza rifarci a modelli esistenti».

Chi più disprezza tra Santanché e la Mussolini?

«La Mussolini senza alcun dubbio. La Santanché ha fatto un grande lavoro con estrema umiltà. La Mussolini è un'altra cosa».

Ha detto a Luxuria 'meglio fascisti che froci'. Lei da che parte sta?

«Non amo nascondermi dietro le parole d'ordine come hanno fatto entrambe. È tipico di chi non ha una preparazione politica usare slogan di partito o scimmiottare termini inutili come quelli».

Un ministro del suo partito ha dato del culattone a certi connazionali: pensa abbia influito sul risultato del voto degli italiani all'estero?

«Non credo, ma se anche fosse è evidente che ci interessa più la difesa di un diritto che di un interesse. An si distingue perché è capace di affermare dei principi anche se non portano consenso».

Come la legge sulla droga. Un giovane che fuma uno spinello è un delinquente?

«Non giudico. Ma di certo chi si droga scappa da qualcosa, è il segno di un malessere che abbiamo il dovere di capire e arginare. Una legge serve a far emergere il problema e affrontarlo con responsabilità».

Il tetto massimo per la detenzione di cocaina è superiore a quello della cannabis. Per favorire i politici che ne fanno uso?

«Le dosi non le stabiliscono i politici. Le tabelle le fanno esperti in campo scientifico. La legge ha un approccio preciso: la droga fa sempre male e lo scopo è la prevenzione e il recupero».

An era il partito della legalità, elogiava Borrelli ai tempi di Mani pulite ma ultimamente è sulla linea di chi vorrebbe epurare la magistratura. Perché questa svolta?

«Non c'è nessuna svolta e nessuno parla di epurazione della magistratura. Palesemente una parte di essa preferisce la militanza politica al ruolo di garanzia e farsi domande su questo non significa epurazione».

È democrazia non riconoscere una maggioranza eletta dal popolo come ha fatto Berlusconi?

«Il governo ha solo chiesto una verifica dei voti trasmessi al Viminale telefonicamente e per questo suscettibili di errori. La sinistra ha gridato al golpe, con Rizzo che prima del 25 aprile invitava a manifestare in piazza 'in difesa del voto, così come nel 2001 abbiamo contestato la vittoria di Berlusconi'. Questa è coerenza? democrazia?».

Lei è tra quelli che annullerebbero la festa del 25 aprile?

«No. Sono per la pacificazione ma in Italia si strumentalizzano certe ricorrenze a fini partitici, come se appartenessero solo alla metà degli italiani».

La sua carriera politica è iniziata nei movimenti scolastici contro la riforma Jervolino e Berlinguer. Della riforma Moratti cosa pensa?

«Ottima. Parte da un presupposto contrario a quello di Berlinguer che tendeva a livellare coscienza e conoscenza. La riforma Moratti tiene conto di un percorso formativo nel rispetto delle tendenze soggettive».

La destra appare senza intellettuali.

«Ci sono ma non emergono. Forse perché non hanno il libretto rosso di Mao o i testi di Marx in mano. La cultura di destra è costruita su un'elaborazione libera del pensiero, ha preso dalla cultura nazionale e internazionale e non ha paura del confronto, leggendo anche libri di sinistra».

Cosa la appassiona oltre alla politica?

«Molte cose. Lo sport, ho il brevetto da sub, il cinema, i libri la musica e naturalmente gli amici».

Scaricare musica gratis da internet ha detto che non è reato. Una ruffianeria per attirare i giovani?

«Solo una provocazione. È reato eccome. Ma se la musica è un veicolo di aggregazione per i giovani come si può permettere che sia un bene di lusso?».

Un leader diverso da Fini?

«Non ne vedo».

Voterebbe D'Alema al Quirinale?

«Mai».

Fa bene Bush a cercare la via diplomatica per calmare il presidente iraniano o dovrebbe fare come in Iraq?

«La diplomazia fino in fondo prima di agire in altro modo. Io non sono una pacifista senza se e senza ma, però la via del dialogo deve essere percorsa tutta».

Vale anche per la Palestina?

«Assolutamente. La politica internazionale deve trovare il modo per garantire al popolo palestinese un proprio Stato e la sua terra; allo stesso modo Israele deve poter difendere i propri diritti».

Morti a Nassiriya: non è ora di dire basta?

«Se dire basta significa scappare, questo è cedere al terrorismo. La sinistra fa finta di non vedere le donne che a migliaia hanno fatto la fila per votare, i bambini che hanno la loro scuola, la gente che non muore di fame e non ha più paura di parlare. Il ritiro è auspicabile, ma quando il governo iracheno dichiarerà di essere pronto».

Immigrazione: legge Bossi-Fini da rifare?

«No. Il principio della solidarietà non è far entrare tutti e poi lasciarli ai semafori, agli incroci o a delinquere. Abbiamo il dovere di dare loro una vita dignitosa, ma con regole».

Giusto depenalizzare il reato di vilipendio alla bandiera?

«Un errore. Penso ci sia un grande bisogno di difendere il senso della Patria».

Quale legge vorrebbe portasse il suo nome?

«Non ci ho pensato, ma vorrei una legge sulla riduzione dei tassi sul mutuo per i giovani e le coppie». 

© Riproduzione riservata