La gatta frettolosa ha fatto i gattini ciechi
Semplificare non sempre è sinonimo di sburocratizzarePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ancora e ancora, e poi ancora. Il riformismo sembra essere divenuto la missione da adempiere ad ogni costo, purché sia. Non sempre, anzi quasi mai probabilmente, a un attivismo di tale consistenza potrebbero corrispondere risultati utili in termini di efficienza ed effettività.
Difficile negare la circostanza siccome, all’improvviso, sembra essersi riaperto un “inseguimento”, una corsa contro il tempo verso la "semplificazione", ed il Codice Appalti parrebbe rappresentarne il riflesso.
Probabilmente, e la formula dubitativa è sempre e comunque opportuna, si stenta a comprendere che la prima forma di complicazione, di creazione di inutili sovrastrutture, è proprio l’eccessiva necessità di procedere nel senso della produzione legislativa attraverso riforme che, in fondo, più che colpire il problema a monte, ossia la burocratizzazione statale cronica, vanno ad incidere, ed in negativo il più delle volte, sulla sicurezza e regolarità delle forme, andando di conseguenza a compromettere la sostanza dell’intervento.
Che il Paese necessiti di accedere a forme semplificate nel rapporto con le Pubbliche Amministrazioni, con gli Enti, oppure solamente nel contesto dei rapporti giuridici di carattere privatistico, non paiono esservi dubbi: il difficile, è offrire soluzioni che possano soddisfare la esigenza di garantire il bilanciamento paritario tra l’accesso, consentite la espressione, al godimento del diritto o della chance, ed il suo dipanarsi nel contesto interno direttamente coinvolgente il rapporto tra le imprese e la Pubblica Amministrazione ed in quello esterno applicativo.
Ad una prima lettura, comunque necessariamente sommaria del nuovo Codice Appalti, salvo errore, parrebbe mancare ogni individuazione di criteri validi di selezione ex ante dei soggetti del rapporto: con ogni conseguenza sulla regolarità delle procedure con buona verosimiglianza.
Che fine potrà fare il principio della concorrenza? Tanto più allorquando si comprenda, dai chiarimenti del Ministero condotto dal Segretario della Lega, che «le stazioni appaltanti potranno decidere di attivare procedure negoziate o affidamenti diretti, rispettando il principio della rotazione», ed inoltre fino a centocinquantamila euro si potrà procedere, quanto meno questo parrebbe, con affidamento diretto, laddove fino a 1 milione potrà attivarsi la procedura negoziata in assenza di bando invitando un certo numero di imprese, che aumenterebbe per i lavori sotto la soglia di cinque virgola 38 milioni. A significare che la gara strettamente intesa sarà confinata alla stregua di una evenienza residuale riservata alla tranche residuale dei lavori, caratterizzati da maggiore consistenza ed appetibilità.
I dubbi del Presidente Giuseppe Busia sono tutt’altro che estemporanei ed infondati, soprattutto in merito ai cosiddetti contratti che la Pubblica Amministrazione potrebbe trovarsi a stipulare per i lavori pubblici e le forniture. Non ogni perplessità è strumentale o semplicemente oppositiva. Il confronto non dovrebbe mai venir meno, soprattutto da parte di chi, al Governo, sostiene giornalmente la esigenza di garantire la legalità. Dicendolo altrimenti: come potrebbe garantirsi la legalità, la correttezza, la trasparenza in assenza, a certe condizioni, di una gara pubblica? L’affidamento diretto potrebbe rischiare di riverberarsi in senso negativo in assenza di un controllo esterno laddove possa sussistere il pericolo, come sottolineato dal Presidente Anac, che nei piccoli Comuni i contratti possano essere stipulati in forza di rapporti personali potenzialmente utili a “favorire” taluni invece di altri? Vabbè, si dice che «chi cambia la strada vecchia per la nuova ha fatto la prova». Ma forse, non è proprio il momento di fare esperimenti soprattutto allorquando il Paese versi già in condizioni economicamente complesse che necessiterebbero di investimenti significativi e non solo, parrebbe, marginali.
Intendiamoci dunque: nessuno, diversamente da quanto parrebbe ritenere il Ministro dei Trasporti, vuole ridurre le riflessioni sul punto ad una mera, quanto inutile, battaglia politica, siccome la esigenza di correttezza, trasparenza e legalità non sono appannaggio esclusivo di destra o sinistra. Sono, e dovrebbero essere, aspirazioni comuni, ed in quanto tali, essere fatte oggetto di confronto maturo e responsabile. Elemento che ad oggi parrebbe davvero mancare purtroppo.
Incontestabile la riflessione del Presidente Giuseppe Busia secondo cui sarebbe, come in effetti è, la burocrazia «negativa, che frena», mentre invece andrebbe, come di fatto deve essere tutelata quella speciale e buona burocrazia che si preoccupa di garantire controlli sul buon operato dei soggetti interagenti, che garantisce i controlli per offrire la massima assicurazione sul rispetto dei diritti, al solo fine di procedere nel senso della spesa utile.
Perché non porgere l’orecchio a preoccupazioni di tal fatta che nulla hanno di politico ma sono solamente espressione di buon senso? Le opportunità, la crescita, sono diretta ed immediata conseguenza della capacità di rapportarsi a più livelli, soprattutto da parte di chi Governa ed ambisce a farlo bene. Da soli non si va né avanti né indietro. Si resta fermi con buona verosimiglianza. L’unione fa sempre la forza. La condivisione anche delle responsabilità e delle scelte.
Confrontarsi significa accogliere il punto di vista dell’altro, un “altro” che, nel caso che ci interessa, si presenta per essere pure altamente qualificato, ed in quanto tale, può contribuire ad arricchire il nuovo Codice nella direzione del pieno efficientamento.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro