Correva l’anno 1986 allorquando, nella cornice incantata e significativa di Taormina, l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, espressione del Partito del Garofano, e il premier socialista Felipe Gonzales diedero vita al c.d. “Asse Italo-Spagnolo” destinato, negli intenti dei due protagonisti, a gettare le fondamenta di quella che avrebbe dovuto essere una alleanza strategica tra due paesi simbolo del perimetro meridionale d’Europa, economicamente e politicamente più debole rispetto agli interlocutori del versante settentrionale della medesima compagine geopolitica.

Oggi, a distanza di oltre trent’anni, e nonostante l’incomprensibile e progressivo avvicinamento della Spagna agli interessi dell’“Asse Franco-Tedesco” allo scopo più o meno marcatamente dichiarato di infilarsi in funzione di elemento di appoggio esterno all’interno di quella solida alleanza finalizzata financo a depotenziare il nostro Paese lasciandolo all’angolo rispetto alle più importanti iniziative di carattere europeo, il neonato Governo Sanchez bis, con una evidente quanto repentina inversione di rotta dettata dall’esigenza di creare una contro-forza nuova e inedita all’interno di una Europa in costante trasformazione, ha deciso, forse unicamente sotto la spinta dell’emergenza economico - pandemica, di recuperare i valori fondanti di quella iniziale alleanza per dare l’avvio ad una concreta fase di ricostruzione e ristrutturazione degli equilibri politici unionali maggiormente rappresentativa e interpretativa delle nuove e disparate esigenze solidaristiche da contrapporre al gelido schematismo contabile dei cosiddetti “Frugal Four”, fin da principio estremamente scettici rispetto all’ambizioso piano da 750 miliardi proposto dall’esecutivo UE.

E così, mentre per un verso Pedro Sanchez ha sostenuto fiducioso che “l’accordo” sul Recovery Fund “si può e si deve fare entro luglio”, e mentre dall’altra Giuseppe Conte, non più qualificabile oramai quale mero funzionario di governo senza storia e senza partito, dal canto suo, ha voluto ribadire e sottolineare la necessità di non “indietreggiare” sul punto, dall’altra ancora, il premier olandese Mark Rutte, invece, pur dichiarandosi cautamente non sfavorevole al programma di aiuti, ha tuttavia artatamente sottolineato la necessità che l’Italia, primariamente, predisponga un corposo quanto rapidissimo programma di riforme.

Sul versante settentrionale, dunque, per il momento, nulla di nuovo sotto il sole: permangono solide e cocciute le resistenze. Ma quali saranno gli effetti, nell’immediato prossimo futuro, della ritrovata alleanza tra Italia e Spagna quali Paesi chiave della Regione Euro-Mediterranea? Quale è la rilevanza di questo ritrovato e rinnovato socialismo europeo? Perché l’Europa, nel suo essere solida compagine geopolitica, ha, tutto sommato, e nonostante le molteplici contraddizioni, bisogno del Mediterraneo e dei due Paesi che maggiormente lo esprimono? E perché, a sua volta, il Mediterraneo, quale area strategica di base, necessita di una “direzione” europea ed europeista inclusiva che sia al tempo stesso ricettiva, rivitalizzante e riflessiva? La Regione Euro Mediterranea può ancora rivestire una rinnovata essenzialità nell’ambito dello scenario della politica estera europea? Perché il Mediterraneo, e con esso quindi l’Italia e la Spagna, ha assunto una rilevanza tattica chiave nello scenario geopolitico/geocentrista delle relazioni internazionali idonea a renderlo un’area irrinunciabile per l’armonico potenziamento della intera compagine europea nel suo complesso siccome fin’ora dichiaratamente nordista?

Ebbene. Prima di tentare di offrire risposta ai molteplici interrogativi offerti alla riflessione generale, non sarà forse superfluo premettere che la ritrovata alleanza Italo - Spagnola non può in alcun modo interpretarsi e/o comprendersi se non al di dentro del perimetro geografico europeo, ed è pertanto chiaro che la stessa, di conseguenza, per non voler dire di necessità, presuppone innanzitutto la intervenuta cementificazione, sotto il profilo ideologico, di un obiettivo comune tra i due Paesi Parte (Italia e Spagna appunto), chiaramente individuato, stando a quanto si desume dalle dichiarazioni rilasciate dagli stessi premier protagonisti, nel tentativo forzosamente indotto e decisamente opportuno di difendere l’idea di un’Europa Sociale e al tempo stesso Socialista non solo dalla costante offensiva maldestra e scoordinata della destra conservatrice e sovranista, ma anche dalla cecità dei sostenitori delle ideologie liberaliste estreme o peggio ancora dalla meschinità dei sostenitori della restrizione imperante, e finalizzato, vieppiù, quello stesso obiettivo comune, alla promozione di un profondo e sempre auspicato processo di rinnovamento dell’Unione Europea, che possa caratterizzarsi, finalmente, per il suo essere più equa, più democratica, più competitiva dentro e fuori i suoi confini naturali siccome espressione tangibile, finalmente, di un’autentica confederazione suprema di Stati in barba allo sterile nazionalismo voluto, invece, da leader limitanti e pericolosamente territoriali come Orban e Salvini.

Tanto premesso, dunque, le risposte agli interrogativi di cui sopra non possono che apparire evidenti nella loro conseguenzialità. Intanto, perché, sul piano specifico degli effetti, nel prossimo futuro, di questo vecchio/nuovo asse Italo/Spagnolo, di matrice tipicamente socialdemocratica, è chiaro che, al di là della attuale specifica finalità immediata dello stesso, consistente nell’offrire una risposta certa e incisiva all’emergenza economica post pandemica, lo stesso non possa che riportare in auge prepotentemente il tema della rilevanza del partenariato euro mediterraneo e della necessità di un suo subitaneo consolidamento, siccome considerato quale “strumento geofisico” di sicurezza nel contenimento e nel controllo giustificato dei flussi migratori diretti verso l’Europa nel pieno rispetto dei diritti umani allorquando, soprattutto, fino a questo momento, la mancanza di una pianificazione politica unitaria ne abbia di fatto rallentato una concreta ed efficace attuazione.

Quindi, perché, pur essendo l’Euro Mediterraneo una “condizione” territoriale cruciale per il clima di forte instabilità dinamica che da sempre lo ha caratterizzato, esso è stato, ed è, tuttavia, necessario ad una Europa che, non solo, nel suo essere colosso economico, è tuttavia rimasta un lillipuziano sul piano politico proprio per l’incapacità di valorizzare la propria unitarietà sul piano della pratica dei “fini”, ma che addirittura ha rischiato, e rischia tutt’oggi, di implodere siccome soffocata dall’irrazionalità delle azioni di governo portate avanti da gran parte dei suoi membri, purtroppo ingiustificatamente ridottisi a considerare i confini meridionali dell’Unione alla stregua di mero affare amministrativo dei singoli territori nazionali interessati in totale dispregio delle finalità del Progetto comune originario.

Inoltre, perché, la posizione della Spagna, ma soprattutto dell’Italia, nel bacino del Mediterraneo, rende i suddetti Paesi naturalmente rilevanti, in armonia e nel pieno rispetto della normativa internazionale vigente, non solo nel gestire il controllo e la difesa delle zone costiere estreme, ma anche nell’assicurare il necessario contemperamento tra la tutela della intera regione euro mediterranea e la tutela dell’altra non meno importante regione euro atlantica, cosiddetta quest’ultima, siccome confinante appunto con l’Oceano Atlantico.

Infine, perché, a ben considerare, questo ritrovato asse Italo/Spagnolo, generatosi all’interno di una realtà sovranazionale articolata e complessa, che di recente ha dovuto necessariamente rivalutare se stessa e i rapporti di forza esistenti al suo interno, in realtà favorisce la rinascita di un sopito (euro) socialismo democratico quale unico riferimento ideologico a più livelli paralleli (nazionale e sovranazionale) allorquando si voglia procedere a una armonica gestione e valorizzazione dei principi fondanti di una ristrutturata comunità di valori.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
© Riproduzione riservata