Stando alle notizie riportateci dalla cronaca recentissima ci sarebbe un nuovo, quanto prossimo, “allarme” immigrazione cagionato dal potenziale allentamento dei controlli sulle partenze da parte di Libia e Turchia, sempre ammesso e non concesso che in termini di “allarme” si possa, e/o si debba, non solo discorrere, ma anche affrontare un fenomeno di carattere indiscutibilmente strutturale per essere divenuto, oramai, storicamente tale già a partire dalla seconda metà degli anni novanta in conseguenza, e per effetto, della caduta dei regimi comunisti. Confondere tanto banalmente la prospettiva sul tema di indagine, secondo il mio modesto punto di vista, non può che condurre a soluzioni, o meglio tentativi di soluzione, inevitabilmente fallaci che, lungi dal contenere il fenomeno e dal disciplinarlo utilmente, al contrario, lo “disordinano” grandemente, evidenziando, nel contempo, la generale inadeguatezza, e quindi la totale, seppure in qualche modo incolpevole, mancanza di progettualità, dei vari Paesi ricettori, tra cui anche la nostra Italia, e delle “politiche” di volta in volta in essi praticate nella erronea convinzione di dover reprimere un fenomeno tanto naturale, quanto positivo, inquadrandolo, con occhio miope, nell’alveo delle questioni attinenti alla conservazione dell’ordine pubblico.

L’ideologia ostracista della nuova “pseudo destra” padana, come pure la (mancata) gestione stessa del fenomeno nel corso dello svolgimento dell’esperienza di governo giallo verde a trazione leghista, infatti, si sono rispettivamente contraddistinte per aver rappresentato il riflesso immediato e diretto del descritto fraintendimento, incautamente espresso, peraltro, attraverso la adozione di provvedimenti legislativi non solo di carattere tipicamente emergenziale e per ciò stesso erronei, ma anche irrimediabilmente incostituzionali oltre che, per giunta, insoddisfacenti per essere privi di qualsivoglia progettualità siccome orientati unicamente nel senso di conseguire la quanto più celere massimizzazione del consenso facendo leva sulla “pancia” di una certa parte dell’elettorato, incline non solo a considerare lo “straniero” come causa ed effetto di tutti i “mali” di un Paese in realtà devastato da anni di austerity sol perchè in tal senso “indottrinato” da una “non politica” disperatamente orientata alla salvaguardia ed al rafforzamento della propria posizione di privilegio “acquisito” in totale dispregio di qualsivoglia principio di buona amministrazione della “cosa pubblica”, ma (incline) anche ad individuare nella “marginalizzazione” dello “straniero” medesimo, l’unica ed utile panacea a quegli stessi mali. Ebbene, tanto doverosamente premesso, e dato allora per scontato che chiunque approdi nelle coste italiane, simultaneamente, e per ciò stesso, approda anche in Europa, a tutt’oggi, è ancora possibile dar vita ad una vera e propria disciplina condivisa dell’Unione, e per l’Unione, in materia di immigrazione? E’ ancora possibile introdurre un meccanismo di ricollocamenti obbligatori che contempli la distribuzione degli immigrati tra tutti gli Stati Membri nella più totale assenza di certezze in merito alle condizioni sanitarie dei medesimi? Quale potrà, e dovrà, mai essere da ora in avanti il ruolo dell’Europa in se e per se considerata? In che modo la mancanza di una cultura comune dell’“immigrazione funzionale” ha inciso sull’incapacità dei differenti governi nazionali nel porgersi con atteggiamento concludente nanti un fenomeno tutto sommato naturale quale appunto quello migratorio? E’ possibile riconoscere, nell’attuale, seppur timida, gestione giallo rossa l’embrione di una inversione di prospettiva?

Rispondere opportunamente è certo attività impegnativa, ma vale la pena tentare nell’ottica del ristabilimento dei limiti, e/o contro limiti, di una “questione sociale” che lungi dall’avere un mero rilievo nazionale, si contraddistingue, piuttosto, per avere una indiscussa incidenza sul piano europeo. Intanto, perché, l’obbligo di accogliere quanti versino in condizioni di difficoltà e richiedano protezione per essere fuggiaschi rispetto a condizioni di vita drammatiche tristemente condivise nei Paesi di provenienza, si configura innanzitutto per essere “un obbligo dell’Europa come soggetto politico e istituzionale, e non di un singolo Stato”, a voler impiegare le intense ed indimenticate espressioni dell’allora Ministro Alfano dinanzi al Comitato Schengen. Quindi, perché, recentemente, nell’ottica di una dimensione post-pandemica necessariamente unitaria della gestione del fenomeno immigratorio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, proprio nel pieno del buio dell’appena trascorso periodo di “contenimento forzoso”, non solo si è espressa nel senso della severa condanna nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca per aver, siffatti Membri, violato le leggi comunitarie nel rifiutare di farsi carico delle quote di ripartizione dei migranti, ma ha anche rigettato espressamente, per ciò stesso, le motivazioni portate avanti, nell’occasione, da quegli stessi Sovranisti, siccome inerenti la pretesa inadeguatezza, del programma comune di redistribuzione.

Inoltre, perché sebbene la stessa Commissione Europea abbia sempre sostenuto la promozione di una politica dell’immigrazione comune fondata sul caposaldo dell’immigrazione legale vincolata al rispetto di norme chiare e non discriminatorie, tuttavia, tanto sul piano genericamente europeo, quanto su quello squisitamente nazionale, hanno sempre finito col prevalere posizioni, per così dire, di “chiusura”, incentivate dall’incapacità di ritrovarsi, e quindi di riconoscersi, in una solida “identità” comune, da considerare quale punto di forza orientato alla condivisione di una esperienza ragionata e funzionale della accoglienza identificata, a sua volta, non più alla stregua di un problema da risolvere, quanto piuttosto di una opportunità da cogliere e da portare “a rendimento” sul piano umanitario ed economico. Infine, perché, a tale ultimo proposito, sul piano tipicamente nazionale, il Governo Conte bis ha già manifestato una notevole apertura nel prevedere all’art. 103 del DL Rilancio, la possibilità di avviare, nell’arco temporale ricompreso tra il 1° giugno ed il 15 luglio, le procedure utili alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro domestico tanto nell’ipotesi dei cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, quanto nell’ipotesi di colf, badanti e baby sitter italiane e comunitarie impegnate in rapporti di lavoro non contrattualizzati. Più precisamente, e nell’ottica di favorire l’emersione del lavoro domestico irregolare, nel caso specifico degli extracomunitari, con una spesa minima di euro 516,00 a famiglia, siffatta regolarizzazione dovrebbe condurre, come di fatto conduce, non solo all’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi inerenti le violazioni sull’utilizzo di manodopera irregolare rendendo in tal modo oltremodo appetibile, per i vari datori di lavoro, l’adesione alla sanatoria 2020, ma anche all’affermazione di una riforma che vorrebbe proporsi, come di fatto si propone, come strutturale nell’ottica di un rafforzamento dell’economia nel suo complesso e di un connesso miglioramento della produttività.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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