In realtà, la sfida che ci aspetta nel 2019 non è ideologica (c'è anzi una grande e diffusa voglia di liberarsi dalle ideologie, di svestirsi di esse) e neanche tra conservatori e progressisti (mai come in questo momento ci troviamo di fronte schieramenti compatti nel dichiararsi progressisti, a parole, per seguire poi, nei fatti, direttrici di marcato e resiliente conservatorismo), ma è tipica di un periodo di dopoguerra.

La Sardegna è tornata a essere, infatti, "Territorio arretrato", come definita e categorizzata dall'UE, quasi priva di economia sostenibile propria (ricordiamo che la maggior parte del nostro PIL, peraltro povero e staccato dalle medie italiane ed europee, deriva da un'industria petrolifera e da una di armi; e ricordiamo che anche i bisogni primari, come per esempio il mangiare, sono soddisfatti, in pesante percentuale, da prodotti importati). Una terra in progressivo spopolamento e degrado, con risultati di scolarizzazione, disoccupazione, disagio e povertà tipici, appunto di un'economia di dopoguerra.

La sfida di cui dovremmo essere coscienti non è dunque definibile sul piano delle tattiche (cosa fare per la salute, i trasporti, l'insularità), ma sul "progetto di vita" che vogliamo darci, per noi e le generazioni future, un progetto che inevitabilmente debba muoversi fuori dalla gabbia in cui siamo andati a cadere. Una gabbia storica, indubbiamente, ma anche derivante dall'abito mentale che proprio le ideologie, a iniziare da quella savoiarda, ci hanno cucito e forzato addosso, sintetizzabile nel bipolo mortale "carattere e destino".

La prima cosa che occorre dunque fare, risollevandosi dopo una guerra, è ritrovare la propria autostima, il proprio orgoglio, ed evadere dalla gabbia, ovvero dagli schemi dominanti non nostri e dai modelli che non ci appartengono.

La nostra storia non inizia nel 1861, con l'Unità d'Italia, né nel 1720 con l'arrivo dei Savoia, e neppure nel 1297 col Papa Bonifacio VIII che s'inventa il "Regnum Sardiniae et Corsicae". Noi sardi non siamo la razza descritta da Niceforo (i cui libri dovrebbero essere letti nelle scuole per mostrare il livello di abiezione scientifica cui si può giungere) e che ancora oggi trova adepti più o meno espliciti.

Non abbiamo prodotto noi l'amianto, i residui chimici e petrolchimici, l'uranio arricchito e tutti i veleni che ancora oggi ci condizionano e penalizzano (la Sardegna ha il triste primato della sclerosi multipla, ad esempio, col 4 per mille di malati, contro l'1,8 per mille riscontrabile in Italia, cioè più del doppio della media nazionale - non è un caso).

Non abbiamo inventato noi e sposato la forzatura industriale che ha soddisfatto solamente la corruzione, distruggendo non solo interi eco-sistemi, ma minando nel profondo la nostra identità. O scelto di essere rappresentati da generazioni di pseudo-esperti che hanno negato la nostra storia, i nostri tesori e hanno triturato e vilipeso i nostri artisti; e di rimanere isolati, chiusi dentro un recinto come animali da esposizione. Abbiamo subito e ingoiato tutto, perché la nostra autostima è scivolata sotto le suole, calpestata da trecento anni di colonialismo.

Nonostante tutto ciò, noi rimaniamo sardi, con diecimila anni di storia stratificata, con una identità essenziale di popolo e di cultura, e con una consapevolezza che riemerge prepotente da questo territorio arretrato che ci fa male, che oggi ci offende.

Nel 2019, il nostro dopoguerra, non dobbiamo dunque limitarci a scegliere il nome tra un ventaglio di conosciuti portatori d'interessi, ma definire prima il nostro progetto di vita, un modello di esistenza che interiorizzi il passato e faccia diventare la Sardegna il luogo nel quale vivere bene e a lungo, prosperare, realizzare con letizia il futuro dei nostri figli.

È un'opportunità che richiede una visione d'insieme fatta di pilastri che si autosostengano, ognuno di supporto all'altro (io propongo l'isola della salute e della longevità, dei giganti e delle migliaia di siti archeologici, della cultura e di un nuovo modello economico sostenibile), una strategia di paese e un piano di azioni stringente, coerente.

Cosa ci rimane altrimenti? La mestizia da semi-schiavi o una rivolta spartachista, oppure ancora un giubbetto giallo?

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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