Esiste un filo sottile, quasi impercettibile, tra il bieco opportunismo politico declinato a ideale di giustizia e l’esigenza capillare di incidere strumentalmente sulla amministrazione quotidiana di quella medesima giustizia pur in difetto di un criterio riformatore reale, o quanto meno astrattamente realistico, alternativo e razionale.

Ed esiste poi un filo, altrettanto sottile e impercettibile, tra il bisogno di disporre di una giustizia “giusta”, declinata sulle ragioni dell’efficientismo decisionale, e l’esigenza di esercitare un controllo funzionale sulla “percezione” sociale di un “Sistema” probabilmente esistente solo sul piano della “gestione” degli affari nel contesto delicatissimo inerente le ragioni della ripartizione dei tre poteri dello Stato, ossia quello legislativo, quello esecutivo, e quello giudiziario i quali, verosimilmente, dovrebbero garantire il rispetto della legalità attraverso l’abbattimento di ogni potenziale distorsione democratica (quindi anche quella proveniente dai ranghi della Politica) dovuta ad abuso di potere e/o a fenomeni corruttivi di varia consistenza.

Se dunque tale fosse il circuito “speculativo” sul quale si agitano gli umori della classe dirigente del Paese, in che modo la decisione popolare su quei sei quesiti referendari sulla giustizia voluti dal Partito Radicale e sostenuti dalla Lega del già destituito Capitano, così estemporanei e generici nella loro formulazione e ai quali la Cassazione ha voluto concedere il proprio “benestare”, può contribuire a tracciare la linea di demarcazione tra ciò che sarebbe utile ad assicurare l’affermazione delle garanzie costituzionali del giusto processo e ciò che sarebbe invece necessario realizzare sul piano della attuazione della pura e semplice organizzazione giudiziaria?

Mi domando se qualcuno abbia fatto caso al contenuto effettivo di quei sei quesiti referendari che tutto sembrano voler promettere, ma nulla andranno probabilmente a modificare. Quel referendum, insomma, e vorrei davvero sbagliarmi, potrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) l’ennesimo strumento di “condizionamento” politico ad uso e consumo di chi il potere già lo esercita indisturbato e vorrebbe solo poterlo indirizzare a suo piacimento sulla scorta dei propri “desiderata”.

Intanto perché, al di là della proclamazione di principio che continua a voler rappresentare il pubblico ministero alla stregua di un sottoposto servizievole, qualcuno potrebbe non comprendere, e giustamente, in che modo la separazione delle carriere tra quanti esercitano funzioni inquirenti e quanti esercitino funzioni giudicanti possa contribuire alla realizzazione di quel tanto acclamato “giusto processo” soprattutto, allorquando, attraverso quella “separazione”, nei termini ristretti e limitativi in cui viene presentata nell’enigmatico quesito referendario, ci si limiti rovinosamente a trasformare quello stesso pubblico ministero da organo chiamato ad assicurare l’imparzialità delle indagini per essere il primo garante dei diritti dell’imputato, quale oggi è, ad organo dell’accusa in senso stretto secondo un modello americano che nulla ha a che vedere con il nostro impianto costituzionale e che proprio per questo sarà destinato a cadere alla prova di legittimità.

Quindi perché, sebbene quello della responsabilità civile dei magistrati sia un tema ricorrente in considerazione dell’interesse sul quale si vorrebbe incidere (ossia la tutela dei diritti patrimoniali in senso lato), tuttavia, al di là dell’impatto mediatico del progetto che vorrebbe il magistrato direttamente coinvolto nel procedimento avente ad oggetto la propria “responsabilità” alla stregua di qualsivoglia altro cittadino, sarebbe utile domandarsi, anche a tutto voler concedere, quanto sia utile in termini di pura e semplice convenienza economica far ricadere direttamente sul medesimo la garanzia del ristoro economico nell’ipotesi patologica di riconosciuta responsabilità civile. Tradotto in soldoni: chi potrebbe assicurare che il patrimonio del magistrato di turno sia abbastanza capiente da soddisfare le ragioni di chi sia stato danneggiato dall’incauto esercizio delle funzioni giudicanti? Non sarebbe più corretto continuare ad avvalersi della garanzia offerta dallo Stato che, in fondo, problemi di capienza non ha? Non so: chiedo per un Amico.

Infine, perché il tentativo di riscrittura dell’articolo 274 del Codice di Procedura Penale conseguente all’eventuale abrogazione referendaria del Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 447, nei termini generalisti in cui viene proposta al giudizio a-tecnico popolare, è fortemente compromissoria degli equilibri su cui si fonda l’intero impianto del sistema cautelare siccome, anche a tutto voler considerare, e come sottolineato da illustri giuristi e studiosi della materia, si arriverà al paradosso di limitare l’applicazione delle misure cautelari ai soli delitti di criminalità organizzata e/o di eversione con ogni grave compromissione dei legittimi diritti delle molteplici persone offese dal reato le quali, come sempre, continueranno, per un verso, a godere, o non godere sarebbe meglio dire, di una tutela processuale limitatissima e priva di garanzie e per altro verso, a fungere da mere comparse approssimative di un procedimento a se stante. Ancora chiedo, e sempre per un Amico: quale sarebbe l’utilità pratica di escludere dall’ambito dei presupposti di applicazione delle misure cautelari il cosiddetto “rischio di inquinamento probatorio” e/o il cosiddetto “serio pericolo di fuga dell’indagato”?

Se il primo imperativo è quello di “prevenire” la commissione e/o la reiterazione dei reati, che senso può mai avere un quesito referendario che punti vigorosamente all’attenuazione di quell’esigenza di giustizia e di tutela di cui oggi si sente in maniera così impellente il bisogno? Inutile dire che l’onestà intellettuale sembra proprio andata a farsi benedire disperdendosi nelle maglie troppo larghe di ragionamenti approssimativi e autoreferenziali condotti su obiettivi che lungi dal voler realizzare l’interesse comune paiono piuttosto orientati a costruire un “Sistema” nel “Sistema” che possa continuare a garantire la sopravvivenza di una “Casta” che sia “altra”, quanto meno in apparenza, rispetto a quella già esistente e operante sulla quale è rovinosamente ricaduto lo scandalo che ha inesorabilmente compromesso sia il rapporto tra Politica (potere esecutivo) e Magistratura (potere giudiziario), sia quello tra Magistratura e Popolo, sia quello ulteriore, e più controverso, tra Rappresentanza Politica e Mandato Popolare.

Ed è proprio sulle macerie di questo sistema che sembrano collocarsi quei sei quesiti referendari sinteticamente declinati in forma incomprensibile per quanti, non addetti ai lavori, hanno comunque trovato il coraggio di sostenerli con la propria sottoscrizione probabilmente sospinti dall’onda di una narrazione coinvolgente ma assai poco conforme alla realtà.

“Omnia Munda Mundis” (ossia “Tutto è Puro per i Puri”) esclamava Fra’ Cristoforo. Oggi qualcuno potrebbe esprimere il concetto in forme assai più maliziose: ma in fondo a chi gioverebbe? Credo che al di là dei qualunquismi strumentalizzati da una narrazione politica che ha deciso arbitrariamente, e nell’assenza di qualsivoglia proprio esame di coscienza, di focalizzare ogni responsabilità sull’operato della Magistratura facendo affidamento sulle sue spalle larghe, si sia persa un’altra occasione importante per garantire la corretta e sana amministrazione della giustizia.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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