Il tema delle riforme negli ultimi mesi sembra aver catalizzato l’attenzione del Governo Meloni specie in vista dei prossimi appuntamenti elettorali soprattutto nelle due Regioni “critiche” di Lombardia e Lazio, ove una eventuale débâcle del destra-centro potrebbe incidere in maniera fortemente negativa sull’attuale assetto dell’esecutivo e sui rapporti interni alla coalizione.

In particolare, a porre maggiori perplessità, sembrerebbe essere quella che appare, nella percezione comune, come la madre di tutte le Riforme, ossia quella sulla cosiddetta “Autonomia differenziata” per intenderci.

Possiamo comprendere il tentativo, probabilmente poco opportuno del segretario leghista, di capitalizzare il consenso in vista del fondamentale appuntamento elettorale, visto e considerato che Attilio Fontana è il suo candidato di punta, e visto e considerato che, malgrado la “apparente” sicurezza manifestata in merito alla sua riconferma, quest’ultima non appare, conti alla mano, e in ragione del consenso vantato dai suoi competitor, così scontata.

Possiamo pure comprendere l’attendismo del nostro Presidente del Consiglio sul punto, siccome la eventuale approvazione di quella Riforma così “critica” sul piano dei suoi potenziali effetti “discriminatori” potrebbe non avere lo stesso positivo riflesso sulle urne della Regione Lazio. La ragione parrebbe apparire in tutta la sua evidenza abbagliante. E la si comprende ancora meglio nel momento in cui ci si soffermi a voler considerare il valore politico, prima che giuridico-amministrativo, di una riforma che, se approvata, finirebbe per fungere da “spartiacque” nel contesto sociologico di un Paese già profondamente eterogeneo nei termini della distribuzione delle risorse e del godimento dei servizi essenziali. Senza considerare poi che, probabilmente, la gran parte della popolazione, ha poco chiari i riflessi, sul quotidiano, di un intervento legislativo a tal punto invasivo e probabilmente per nulla utile non solo nel momento contingente, ma anche nel prossimo futuro. Senza poi voler ancora considerare che l’impulso alla riforma recentemente sollecitato dal Ministro Calderoli parrebbe voler incidere, probabilmente in maniera inconsapevole, proprio sul sistema di approvazione delle leggi, siccome parrebbe voler accentrare (il condizionale è d’obbligo) il fulcro del potere legislativo in capo al potere esecutivo, preludendo, con buona verosimiglianza, giorno dopo giorno, tassello dopo tassello, ad una operazione di restyling costituzionale più profonda, subordinandola e finalizzandola all’aggiunta graduale e sistematica di elementi utili a portare avanti in maniera alternativa ed indiretta, attraverso la graduale esautorazione del Parlamento e del dibattito Parlamentare (quali elementi caratterizzanti della nostra esperienza repubblicana), una sorta di “presidenzialismo” latente vivente “in potenza” e pronto a divenire “atto” alla prima occasione utile.

Quando si dice che il metodo vorrebbe preludere la sostanza, probabilmente si intende fare riferimento a situazioni come questa. Che il progetto politico sulla autonomia regionale differenziata sia di massima portata storica nessuno lo può negare, e probabilmente, sul piano di un atteggiamento forse “egoistico” di quanti ne ritrarrebbero vantaggi indiscutibili, probabilmente, potrebbe pure apparire legittimo. Di fatto, tuttavia, il massiccio decentramento delle competenze finirebbe per “spaccare” l’Italia in due, definendone irrimediabilmente gli standard di sviluppo e di crescita in senso negativo. Se Regioni come Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, perché anche Stefano Bonaccini ha espresso il suo favore in tal senso, salvo errore, sarebbero chiaramente avvantaggiate da una Riforma di tale consistenza, altre Regioni, quali ad esempio la Sardegna, potrebbero non godere degli stessi riflessi considerata la disparità sul piano sociale ed economico, oltre che geografico che ancora persiste. Né potrebbero, quelle stesse Regioni promotrici, pretendere un’attuazione particolareggiata dell’articolo 116 della Costituzione, ossia riferita esclusivamente al proprio territorio, ignorando i principi di una necessaria revisione in senso omnicomprensivo del successivo articolo 117 della Costituzione stessa, dal momento che, in ragione della natura della Fonte del diritto, non si potrebbe neppure ipotizzarne lontanamente una applicazione settoriale e territoriale “uti singuli”.

Probabilmente, il Partito Democratico nella sua multiforme interezza, attualmente impegnato in una fase congressuale assorbente, si mostra, volutamente o forse no, piuttosto distratto (questa l’impressione che se ne ritrae), rispetto ad una tematica a tal punto stringente. Ma, al di là di tutto, un intervento sul tema deciso e focalizzato sugli aspetti maggiormente critici, sarebbe auspicabile da parte dei suoi aspiranti candidati alla segreteria.

Il pericolo sembrerebbe proprio rappresentato dall’ipotesi, laddove la proposta Calderoli trovasse il suo punto di approdo, di risvegliarci a contemplare un assetto nazionale frammentato, poco chiaro e profondamente eterogeneo sul piano della distribuzione delle competenze nelle materie di politica pubblica realizzato prescindendo da qualsivoglia necessaria procedura di revisione contemplata dalla nostra Carta Costituzionale. E poi, quale sarebbe il destino del Mezzogiorno? Quale sarebbe il potenziale regionalismo del Sud del Paese? Se si prescinde da un dibattito serio e consapevole sul punto non si può pretendere di governare e di farlo con consapevolezza. Non si può pretendere seriamente che cittadini con un reddito medio pro capite più elevato abbiano per ciò stesso diritto a godere di maggiori servizi a discapito di quanti siffatta condizione di benessere non possano vantare.

L’Italia è una e una soltanto e semmai, il Governo, dovrebbe intervenire per favorire uno sviluppo armonico del Paese che possa far rinascere le aree critiche ed in condizioni di sotto-sviluppo riportandole a livelli apprezzabili di benessere. Se il Governo Meloni, per dare seguito alle aspirazioni dei suoi alleati, dovesse anche solo pensare di prescindere da un’iniziativa di tal fatta, sarebbe chiaramente destinato a concludere la propria esperienza ben prima del quinquennio. La forza internazionale di un Paese dipende pure dal suo armonico sviluppo interno. E allora, si domanda: in che modo l’attuale governo intende promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale per rimuovere gli squilibri economici e sociali? In altre parole, e per intenderci: in un periodo quale quello contingente, caratterizzato da difficoltà profonde, in che modo il Governo Meloni intende dare seguito ai dettami dell’articolo 119 della Costituzione?

I riscontri dovrebbero essere necessariamente immediati, o quanto meno dovrebbero cominciare a rendersi visibili se davvero si intenda governare a lungo e bene.

Riforme quale quella sul regionalismo differenziato, con buona pace dei suoi audaci promotori, non possono essere avanzate al di là ed oltre un ampio dibattito parlamentare. Non possono prescindere da un confronto serio e consapevole sul piano degli effetti perché i cittadini devono poter godere di analoghi diritti e benefici.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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