I due partiti di governo sono ai ferri corti.

Che Salvini faccia saltare subito il banco o che i Cinque Stelle facciano marcia indietro e si pieghino al leghista, come accaduto spesso negli ultimi mesi, è evidente che il rapporto della maggioranza giallo-verde non sarà più quello del primo anno di governo.

Le elezioni europee hanno alterato e squilibrato eccessivamente i rapporti della coalizione. Salvini può davvero andare al voto qualora lo volesse? Se sì, con quali rischi? Lo zoccolo duro leghista teme il ritorno di uno spettro del passato.

Il fantasma è l'interdizione del Presidente della Repubblica sul ritorno al voto, un ribaltone parlamentare e il ritorno di un governo tecnico (o pseudo) sostenuto da una nuova maggioranza (Pd e Movimento 5 Stelle). Per capire come può evolvere la situazione, e perché questo timore comprensibile non sia poi così tanto fondato, è bene osservare i pezzi sulla scacchiera.

OCCHIO AI NUMERI - Prima di tutto i numeri parlamentari. Il Partito democratico e il Movimento Cinque Stelle sommati avrebbero una maggioranza risicata. Più solida alla Camera, ma al momento insufficiente al Senato. Potrebbero trovare dei deputati naufraghi, dei responsabili facili da convincere, oppure guadagnare il sostegno di Forza Italia o un pezzo di essa. Tuttavia, questo governo a base demo-grillina sarebbe estremamente debole. Non si è formato nel 2018 e sarebbe improbabile che si formasse dopo la rottura dell'attuale maggioranza, ben più solida nei numeri. Inoltre, i renziani sono ancora una quota rilevante dei parlamentari Pd, quella che basta a far saltare anche solo l'immaginazione di una tale ipotesi.

L'ESEMPIO DI RENZI - Ricordiamo che Renzi poco più di un anno fa si oppose alla nascita del governo penta-democratico, e se oggi avallasse una tale scelta la sua credibilità politica sarebbe per sempre compromessa. Non solo, ma un quadro del genere polarizzerebbe lo scenario tra destra e sinistra e l'ex segretario Pd perderebbe l'alternativa centrista a cui ha più volte fatto allusione negli ultimi tempi. Nascerebbe un governo debole e l'instabilità, sul piano legislativo, diventerebbe assai maggiore di quella attuale. Il secondo pezzo sulla scacchiera, forse quello più importante, è il Quirinale. Negli ultimi mesi l'interventismo di Mattarella, molto elevato nella prima fase del governo Conte, è drasticamente sceso. Cosa è successo? In primo luogo, il governo si è messo in riga con l'Unione Europea, correggendo la manovra ed evitando la procedura d'infrazione; in secondo, è esploso lo scandalo-inchiesta del Csm che ha costretto Mattarella ad essere impegnato sul fronte della magistratura, in una posizione scomoda e che lo ha indebolito sul piano istituzionale. Il Quirinale avrebbe oggi davvero la forza per negare le elezioni anticipate alla Lega ed imporre di suo pugno un governo tecnico o formare una maggioranza risicata con Pd e Cinque Stelle? Sarebbe un governo debole, come si è visto, e con una opposizione di destra fortissima elettoralmente e sul piede di guerra.

CONSEGUENZE INDESIDERATE - Le conseguenze per la legittimità delle istituzioni della Repubblica potrebbero essere potenzialmente devastanti. Non va dimenticato che il governo Monti, allora inevitabile per congiuntura finanziaria e internazionale, ha prodotto politicamente l'esplosione elettorale del Movimento Cinque Stelle e della Lega. Cosa potrebbe accadere nel caso di un ribaltamento parlamentare in queste condizioni? Quanto verrebbe politicizzata la posizione del Quirinale? Mattarella scivolerebbe in una posizione spinosa e difficile da gestire. Il caso è solamente teorico, visto che il Colle non pensa affatto a soluzioni del genere.

IL MONDO FINANZIARIO - Il terzo pezzo sulla scacchiera è quello finanziario. Lo spread è tornato ai minimi, sia per l'aggiustamento del bilancio che, soprattutto, per la prosecuzione del quantitative easing di Mario Draghi. Se la coalizione si rompesse, potrebbe forse riprendere a salire, ma basta uno spread in rialzo, senza toccare i livelli apicali del 2011, a giustificare la nascita di un governo tecnico o di uno penta-democratico con quelle deboli basi parlamentari? Inoltre, diventerebbe difficile rinviare l'appuntamento elettorale, sia per il Colle che per la maggioranza alternativa, solo ricorrendo a motivazioni di emergenza economico-finanziaria, che per altro dovrebbero verificarsi e che ad oggi non si vedono all'orizzonte. Fare una mossa del genere significherebbe svuotare del tutto il concetto di democrazia.

SCACCHIERA INTERNAZIONALE - Il quarto pezzo è la politica internazionale. Nel 2011 a Washington c'era Barack Obama e il vecchio establishment europeo era saldamente al comando. Oggi alla Casa Bianca c'è Donald Trump, meno accomodante verso l'Unione Europea dei predecessori e senza dubbio più vicino al governo italiano sul piano politico, e l'equilibrio europeo è completamente cambiato. Le peripezie del voto del Parlamento Europeo per la conferma di Ursula von der Leyen sono state la cartina di tornasole della frammentazione europea. Certo, Salvini resta il leader più inviso ai partiti tradizionali europei e ai politici che governano l'Unione Europea, ma per il leghista la situazione appare nettamente migliore rispetto a quella di Silvio Berlusconi nel 2011.

PEDINE ALTERNATIVE - Il quinto pezzo è il programma della maggioranza alternativa Pd-Cinque Stelle. Entrambi i partiti si muovono su una chiara piattaforma anti-austerity. Più spesa sociale, salario minimo, politiche ambientaliste. Tutte politiche che mal si conciliano con la linea ordoliberale di Berlino e con l'elevato debito pubblico italiano. Inoltre, un governo tecnico può anche scegliere un programma aggressivo sul piano fiscale (aumenti di tasse) e sulla contrazione della spesa pubblica, ma i parlamentari grillini e democratici sarebbero davvero disposti a votarli? Alla prova dei fatti, se guardiamo al passato, anche i più europeisti dell'emiciclo si sono mostrati recalcitranti di fronte alle politiche suggerite da Bruxelles. Un governo tecnico, spostato a sinistra, sarebbe, dalla prospettiva europea, inabile a risolvere i problemi italiani quanto quello attuale. La scacchiera mostra come sia molto difficile, qualora si rompesse la maggioranza, trovare un'alternativa sostenibile senza tornare a votare ed escludendo per di più la Lega dal governo. Il sogno “competente”, il ritorno dei tecnici, ad oggi è forse più una forma di onanismo mentale che una possibilità reale.

IL VERO PROBLEMA - La questione, semmai, sembra un'altra e cioè la solitudine “istituzionale” di un Salvini che non ha appigli nelle strutture dello Stato, palazzi e magistratura. Lo stesso vale per il mondo mediatico mainstream, della cultura e dell'università. Circoli che non spostano voti, ma possono azionare veti e piantare ostacoli giuridici e burocratici. Il leghista ha in mano solamente un vasto consenso registrato dalle europee e dai sondaggi. Come ha giustamente osservato il professor Giulio Sapelli “se vuoi guidare il paese devi avere la consapevolezza che vogliono eliminarti, proprio come un toro alla corrida”.

MODALITA' RISCHIOSA - Rompere la coalizione significa entrare nella modalità di “tutti contro uno”, assumersi il rischio elettorale e giocarsi tutto. In questa partita, se deciderà di staccare la spina al governo Conte, Salvini ha forse una sola rassicurazione: sarà molto difficile per i suoi avversari espliciti ed impliciti ripetere una manovra simile a quella che si ebbe nel 2011. Dalla sua prospettiva il leghista fa bene ad evocare lo spettro del governo tecnico e del ribaltone sia perché così prepara i suoi elettori allo scenario peggiore, esorcizzandolo, sia perché mette pressione a chi dovrà decidere le sorti di una eventuale crisi di governo. Di Maio e Conte negli ultimi mesi, quando guardavano ai sondaggi in caduta libera, hanno cercato di alzare la testa contro Salvini, ma potrebbero riabbassarla rapidamente davanti ad una seria minaccia elettorale. Considerare come probabili i ribaltoni o “governi commissari” imposti dall'alto rischia di essere un errore di valutazione. Fino ad oggi i Cinque Stelle hanno creato polveroni, ma senza mai tentare di affondare davvero il governo. L'impressione è che molto sia nelle mani di Salvini. Anche più di ciò che si è portati a pensare, sotto la comprensibile influenza dei timori della storia recente.

Lorenzo Castellani

(Per concessione di "List")
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