Gli italiani hanno votato: il “si” ha prevalso al referendum per il taglio del numero dei parlamentari, mentre, per quanto concerne le cosiddette elezioni regionali, il centrosinistra ha avuto la meglio in Toscana, Campania e Puglia. Il centrodestra nel suo complesso, dal canto suo, nonostante qualche piccola, pallida e scontata conquista in Veneto, nelle Marche ed in Liguria, non è riuscito a nascondere tutte le sue ruggini interiori ed esteriori.

Il Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Forza Italia, singolarmente considerati, si sono invece verosimilmente rivelati per essere i reali perdenti “non pervenuti” all’interno di una competizione elettorale tutto sommato sommessa, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, si è elegantemente distinto per essere l’unico vincitore “occulto”, benchè vicino ai 5 Stelle, ma opportunamente non iscritto al Partito.

Una debacle annunciata, insomma, financo dagli inconsueti toni moderati del “capitano” oramai senza vascello e dai tentennamenti altalenanti dell’anonimo segretario Dem, tutt’altro che coraggioso nella sua azione di governo come nell’elaborazione di minimi e sottili tatticismi di carattere prettamente tecnico, e per ciò stesso troppo impegnato, purtroppo, come il Don Abbondio di manzoniana memoria, a schivare i pericoli come quando si scansano dalla strada i sassi per rendere, quanto meno in apparenza, il cammino più agevole. Eppure, ciò nonostante, stupisce che nessuno degli interessati paia volersi rassegnare ad accettare dignitosamente e responsabilmente la propria reciproca sconfitta. In un contesto siffatto, offrire una lettura politica e nel contempo politologica di questi esiti è un compito che può presentarsi meno agevole di quel che si possa percepire e concepire “a caldo”, siccome inevitabilmente mi impone, e ci impone, di individuare, preliminarmente, il punto di osservazione privilegiato e maggiormente veritiero dell’intero “conflitto” elettorale e referendario onde evitare falsificazioni interpretative e concettuali utili solamente a condurre la riflessione verso sterili, per non voler dire mediocri e grossolani, sentieri di indagine.

Al proposito, sarebbe di sicuro attività meno fruttuosa quella di scrutare criticamente l’intera vicenda attraverso la lente di ingrandimento delle singole coalizioni, o peggio ancora, delle singole formazioni partitiche e/o dei loro leader, trattandosi all’evidenza dei “soggetti” direttamente esposti e sottoposti al vaglio del maggior o minor gradimento della popolazione. Sicchè, l’unica prospettiva di osservazione valida deve necessariamente individuarsi nel sentimento, forse non più troppo recondito, degli elettori, i quali, nel bene e nel male, hanno “sentenziato” in ordine al prossimo futuro politico del Paese attraverso l’enunciazione silenziosa ma significativa delle loro preferenze. Non è affatto un caso che alcuni indizi paiano essere precursori di prossime tendenze dettate da un elettorato stanco, sempre meno affezionato ai partiti i quali, dal canto loro, sembrano aver perso i tradizionali ancoraggi con gli ideali e con i propri segni di riconoscibilità, nonché con la propria identità, la propria struttura e le proprie capacità organizzative, e sempre più attratto, per converso e per stretta necessità, da singoli “Uomini del Fare” di rilievo esclusivamente territoriale, “senza bandiera e senza colore”, eppure saldamente radicati, “riconosciuti”, ed evidentemente seguiti ed apprezzati per essersi contraddistinti come autentici interpreti delle esigenze contingenti della propria popolazione, e per essersi di conseguenza presentati come esecutori credibili di un approccio sussidiario alla convivenza civile che anni orsono trovava la sua espressione più significativa nel noto slogan “più Società meno Stato”.

Peraltro, la vittoria del “si” con riferimento al quesito referendario sul taglio del numero dei parlamentari, più che quale trionfo dell’ideologia penta-stellata della prima ora, sembra essersi tradotta di fatto nella estrinsecazione di un voto rabbioso sinceramente punitivo della classe politica nazionale complessivamente intesa e, pur tuttavia, consapevolmente espresso in danno di un sistema cancerogeno e tripolare “masturbato” dall’artificiosità di “intese” approssimative e corrive nella loro cangiabilità, all’interno del quale (sistema si intenda) proprio il noto e sedicente Movimento Penta-Stellato dell’anti-politica ha dovuto, suo malgrado, e dolorosamente, scontare la sua pena di contrappasso per essersi ingenuamente ed incautamente auto-condannato sia a porsi come interprete, sostenitore, ed artefice della propria irrilevanza ed insipienza sul piano istituzionale, sia per aver nel contempo deliberatamente trascurato la circostanza che nessun consenso può mai maturare nell’animo di un Popolo frustrato e deluso per essere stato destinato dapprima all’immobilismo economico e sociale, e poi al nudo e crudo assistenzialismo occasionale di circostanza. Ovviamente non può esserci né epilogo né ulteriore discussione dinanzi ad un contesto siffatto nell’ambito del quale, evidentemente, deve essersi necessariamente creato un corto circuito impediente tra il sistema di incanalamento delle istanze popolari e le risposte/decisioni delle varie leadership, le quali, nel corso degli ultimi anni, per un verso, sono apparse gradatamente sempre più svincolate dalla volontà dei votanti e dalle sollecitazioni provenienti dall’ “ambiente” circostante, mentre, per l’altro verso, e di conseguenza, hanno contribuito ad incentivare il processo di progressivo distanziamento del partito dalla sua unica sorgente convalidante e ratificante rappresentata dal corpo elettorale smarrendo, così, definitivamente, la loro capacità di perseguire e conseguire gli obiettivi istituzionali prefissati come più volte ho avuto modo di sottolineare.

Non può stupire, pertanto, che in un contesto siffatto, tanto la “Parteiverdrossenheit”, ossia l’“insoddisfazione per i partiti”, quanto la “Politkverdrossenheit”, ossia l’ “insoddisfazione verso la politica”, intese genericamente quali percezioni qualificanti il difficile rapporto degli italiani con i centri di potere, siano riuscite a ri-affermarsi in maniera sprezzante e disincantata travolgendo in pieno financo la destra populista ed estrema di Matteo Salvini e la sua logora ed insipida strategia incendiaria. Sarebbe tuttavia sintomatico di una certa semplicioneria argomentativa affermare che da queste consultazioni l’esecutivo ne sia uscito sicuramente rafforzato, trattandosi all’evidenza del solo effetto illusorio e condizionato suscitato dal forte ridimensionamento di un centro-destra ingombrante fino all’altro ieri, nonché dalla prudente gestione, sul piano sanitario, della pandemia. Ma il bello deve ancora venire e l’unico soggetto consapevole sembra essere proprio il Professor Giuseppe Conte il quale, da buon temporeggiatore, attende pazientemente il maturare delle circostanze per tentare il suo personale salto di qualità.

Giuseppina di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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