Alla vigilia del voto di fiducia, il Governo Draghi, come era agevole attendersi, già sembra barcollare sotto i colpi dell’emergenza pandemica per non essere riuscito, neppure sulla carta, ad assicurare la necessaria discontinuità con la precedente esperienza amministrativa statale. Né poteva essere altrimenti: il tanto atteso “Uomo del Miracolo” potrebbe essere, come di fatto è, solo un essere umano che, per giunta, sembra avere già ceduto alle dinamiche controverse e per tanti versi discutibili della dialettica politica più spicciola votata all’inconcludenza financo nella scelta di una squadra di governo piuttosto deludente nelle sue varie espressioni soggettive e che, certamente, riesce difficile definire di “alto profilo” nel senso pieno del termine. “Tanto rumore per nulla” si potrebbe esclamare. E davvero ce ne sarebbero tutte le ragioni. L’ex Presidente della Banca Centrale Europea aveva il compito preciso di dare vita ad un esecutivo “di alto profilo che non (dovesse) identificarsi con alcuna formula politica”, un governo “adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria”. Invece, sulla base di scelte condotte in forza di parametri completamente disancorati da quelle che parevano essere le indicazioni di principio del Presidente Sergio Mattarella, Mario Draghi è comunque riuscito a dare vita ad un esecutivo sovraesposto non solo al condizionamento politico di più basso profilo nella sua consistenza di indirizzo politico, ma anche alle intemperanze delle forze centrifughe e centripete che inevitabilmente si agitano e si agiteranno nel prossimo futuro al suo interno prima ancora che all’esterno e che, nel loro confuso ed incerto insieme, costituiranno il limite ed il contro-limite dell’azione programmatica dello stesso malcapitato Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale, nel dover indirizzare, coordinare, influenzare ed armonizzare le varie scelte, dovrà inevitabilmente sottostare a numerosi compromessi al ribasso. Del resto, nell’espletamento del suo mandato, Mario Draghi, per quanto “super”, sebbene solo relativamente ad altri ambiti di intervento, quanto meno per il momento, sarà tenuto, necessariamente, a rispettare tutte le peculiarità del Parlamento, tenendo sempre presente, e rispettando, la “delicatezza” degli instabili equilibri politici che animano e connotano la sua debolissima, per quanto apparentemente ampia, maggioranza “assistita”. Ogni riflessione si pone come doverosamente conseguente, soprattutto allorquando si considerino, soppesandoli attentamente, i presupposti, le cause ed i potenziali effetti delle circostanze che hanno condotto alla sua formazione. Detto altrimenti e più chiaramente. Un Governo contemporaneamente sostenuto dal Partito Democratico, dal Movimento 5 Stelle a correnti alternate, contrapposte e contrarie, da Forza Italia anche nella sua espressione più sovranista seppure scarsamente rappresentata, da Italia Viva e dalla estrema destra padana, non può che essere destinato ad inciampare su molteplici ed insuperabili difficoltà di carattere politico-ideologico giacchè con una compagine così ampia, il numero dei “piani progettuali” realizzabili tende incontrovertibilmente a ridursi a pochissimi punti programmatici quand’anche anticipatamente concordati. E’ fin troppo semplice osservare, infatti, e non è certo necessario scomodare Lapalisse, che tanto più larga è la coalizione nella sua composizione soggettiva complessiva ed individuale, tanto più sono eterogenee e “liquide”, per non voler dire “gassose”, le varie forze che la compongono, allora ancor tanto più ristretto ed angusto sarà il campo d’azione collettivo e soggettivo considerato nella sua interezza e nella sua funzione finalizzante. Il Governo Draghi, in buona sostanza, quand’anche ottenga la fiducia, sarà destinato ad essere soltanto un governo cosiddetto di “scopo”, non certo di “miracoli”, e ho buone ragioni per ritenere che avrà una durata limitata nel tempo siccome sorgerà appositamente, se sorgerà (la formula dubitativa è doverosamente d’obbligo), come conseguenza “pilotata” di una crisi di governo “declassatrice” con l’obiettivo precipuo di varare, se possibile, i provvedimenti legislativi di più stringente impellenza. Paradossalmente, la fiducia risicata della precedente, e più ristretta esperienza di governo, quello della “non sfiducia” per intenderci, sarebbe stata in grado di garantire una maggiore coesione di intenti ed una stabilità istituzionale sicuramente più utile agli effetti pratici. Col trascorrere dei mesi, probabilmente, inizieremo a renderci conto che il problema del variopinto Governo Draghi sarà proprio Mario Draghi, e non solo per il suo agire sempre e comunque in maniera autoreferenziale e decisionista, ma anche per il suo imperdonabile “lapsus di circostanza” che pare avergli fatto dimenticare di riconoscere dignitosa “presenza” in Parlamento ai validissimi rappresentanti delle politiche isolane da sempre lasciate ai margini di una agenda politica nordista ed in quanto tale, in qualche modo pericolosamente “classista”, che rischia di perdere di vista l’unitarietà del Paese proprio nel momento delicatissimo di quella che dovrebbe essere vissuta da tutti indistintamente come una iniziativa volta alla “ripartenza” e alla “ristrutturazione” complessiva e sistematica di carattere solidaristico. Mi domando: una volta portati a compimento i due o tre punti programmatici di più impellente urgenza, e presupponenti tutti la gestione responsabile ed efficiente di una campagna vaccinale allo stato arenata tra i lacci ed i lacciuoli di apparati burocratici indecifrabili, cosa ne sarà di questa improbabile “maggioranza sinistrorsa e pentastellata allargata” ad una compagine leghista di probabile “frattura”, solo apparentemente europeista e votata alla conversione al Governo del Presidente unicamente per la mancanza di una autonomia programmatica necessaria alla elaborazione di un progetto di governo, quanto di un serio indirizzo politico di riferimento che esuli dalla pura e semplice ideologia secessionista per il momento lasciata gioco forza in soffitta? Mario Draghi, nella sua inedita funzione di Presidente del Consiglio dei Ministri, potrà “stare sereno” nel senso “renziano” ed estemporaneo del termine siccome riferito a realtà politica “altra” rispetto a quella del turbolento senatore fiorentino? La strumentalizzazione fine a se stessa nel medio-lungo termine non paga, anzi si paga, se non direttamente in termini stretti di tenuta ed acquisizione di consensi quanto meno sicuramente in termini di coesione interna e tenuta del partito padano che da troppo tempo attende un segretario all’altezza del sempre presente, sebbene “invisibile”, Presidente e Senatùr Umberto Bossi. Matteo Salvini, dal canto suo, sembra essere definitivamente cascato nel “trappolone” denaturalizzante di questa inedita esperienza di governo: la sua adesione improvvisa ed acritica all’europeismo incondizionato, probabilmente necessitata per soddisfare l’esigenza di moderazione e di inclusione di una parte rilevante del proprio partito, costituisce l’inizio della sua parabola discendente, siccome tradisce l’evidente esigenza di consentire un “cambio di passo” importante nell’impostazione ideologica di insieme in funzione di un cambiamento se non proprio radicale, comunque di spessore non solo in ambito gestionale interno, ma anche di sistema. Non credo, pertanto, di incorrere in errore nell’affermare che tutto sommato, i veri vincitori emergenti all’esito di questa curiosa ed ulteriore esperienza saranno solo la inossidabile Giorgia Meloni ed il camaleontico Movimento 5 Stelle il quale, dell’incerto andamento ondivago è riuscito, nonostante tutto, a fare il suo punto di forza.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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