Se l’obiettivo era quello di porre un argine alla povertà ed alla emarginazione sociale, allora, con l’introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”, nell’anno 2019, i penta-stellati sembrerebbero aver maturato il merito di aver introdotto, nell’Ordinamento tricolore, un vero e proprio “diritto al reddito” di rilievo costituzionale. Nemmeno per sogno: solo scelta demagogica spicciola utile a determinare una pericolosa deriva democratica alimentata dall’affermazione di un illusorio principio di “eguaglianza sostanziale” mai realizzatasi. 

Proprio sul piano delle politiche di Welfare, infatti, l’erogazione di quel “reddito”, preteso come “miracoloso” dai suoi irriducibili sostenitori, in realtà costituisce un vero e proprio “pericolo” giusto appunto sul piano della realizzazione di un sistema di “uguaglianza sociale”, ed un chiaro disincentivo al lavoro per essersi azzerata, negli anni, l’offerta competitiva di lavoro in rapporto, per converso, all’incremento della domanda. Insomma: “reddito minimo” e “minimi livelli occupazionali”, quanto meno in Italia, sono due facce della medesima medaglia. Sicchè, diversamente da quanto hanno mostrato, e mostrano di ritenere i penta-stellati nella circostanza, e malgrado le buone intenzioni, non costituisce verità assoluta quella per cui attraverso un deciso intervento redistributivo a favore di chi versa in condizione di “bisogno” latamente inteso si possa sconfiggere la “povertà”, sul cui preciso significato (mancanza di risorse o carenza di pari opportunità?), peraltro, occorrerebbe innanzitutto trovare una intesa qualificante.

I “poveri” continuano ad esserci, ed anzi sono ancora “più poveri”. Per questo stupisce il contenuto, sia pure solo pacatamente adesivo, dell’intervento recente del “Premier” in proposito il quale, nel suo argomentare, se per un verso sembra voler rassicurare il Movimento 5 Stelle su una questione che, notoriamente, ha sempre diviso, e divide, la maggioranza di Governo, per l’altro verso, assume un atteggiamento politicamente controverso se si considera, al contrario, l’avversione, a questo punto ingiustificata, palesata nei confronti della misura, comunque non condivisibile per altre ragioni, di matrice leghista, ossia quella della cosiddetta “Quota Cento”. La verità appare essere solo una, ed appare verosimilmente in tutta la sua incontrovertibilità: al di là delle formule e delle varie declinazioni, troppo spesso incoerenti del principio, se è vero, come è vero, che il “reddito di cittadinanza” non può in alcun modo corrispondere con un generico “diritto al reddito”, per essere quest’ultimo di portata e valenza assai più ampie, tuttavia, quello stesso vituperato “reddito di cittadinanza”, ha il merito di aver indotto la riflessione, e spianato la strada, verso il dibattito relativo alla necessaria introduzione di un autentico ed autonomo “diritto al reddito” idoneo a garantire una esistenza dignitosa alla generalità dei consociati per essere espressione tangibile dell’intervento rassicurante dello Stato.

In buona sostanza, il paradigma interpretativo della cosiddetta “lotta alla povertà” dovrebbe estrinsecarsi nella relazione esistente tra l’esigenza di rafforzare i livelli occupazionali e quella, non meno importante, di calmierare gli effetti negativi del potenziale crollo di quei medesimi livelli. Intanto, perché, così operando, si avrebbe l’opportunità di aspirare al raggiungimento di una condizione soddisfacente di cosiddetta “eguaglianza sostanziale”. Quindi, perché se tutti gli uomini, per essere davvero “liberi”, dovrebbero poter fare affidamento su un “reddito” di qualsivoglia consistenza e derivazione (lavorativa e/o assistenzialistica), allora quel “reddito”, non potrebbe configurarsi altrimenti se non come strumento “costituzionalmente” essenziale ad esprimere le qualità dell’individuo tanto nella vita privata quanto in quella di relazione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2 della Costituzione. Infine, perché, comunque, quel summenzionato “diritto al reddito” dovrebbe altresì declinarsi nei termini di complessiva e paritaria distribuzione delle risorse disponibili, ossia quale condizione pre-necessaria a garantire la potenziale, sia pure inevitabilmente differente, affermazione sociale dell’individuo. Infine, perché solo ragionando nei termini suddetti, lo Stato può garantire che l’“eguaglianza” comunemente intesa non venga compromessa e mortificata dall’affermarsi di condizioni sociali impedienti che annullino i sacrosanti diritti del Popolo Sovrano siccome la rimozione di ogni forma di diseguaglianza costituisce piena espressione di democrazia.

Ebbene. Alla luce di quanto così sinteticamente osservato, un concetto tra tutti non può in alcun modo essere ignorato. Ossia quello per cui non può esistere, come del resto da più voci affermato, il “lavoro in assenza di una retribuzione proporzionata”, ed il “reddito senza lavoro” siccome qualificabile, quest’ultimo, nei termini mortificanti di una elemosina di Stato priva di legittimazione giuridica. La via di uscita da una condizione “invalidante” di povertà endemica può essere individuata unicamente nella elaborazione di compiute politiche di redistribuzione sicuramente difficili da attuare in assenza di riconversione del sistema economico generale. Una condizione, quest’ultima, che ci costringe rovinosamente ai “nastri di partenza” e non ci consente di progredire. Per questo dubito fortemente che Mario Draghi riesca, malgrado la sua abilità con i “numeri”, a far quadrare il cerchio. A dover essere cambiato, al di là dei dispettucci di Palazzo e del sistema delle prevalenze che caratterizza l’attuale esecutivo, è innanzitutto il “Sistema Italia” a dover essere ri-costituito. Quindi rassegniamoci, e non creiamo false aspettative: la povertà esiste, continuerà ad esistere, e non saranno le 5 Stelle, né tanto meno Mario Draghi a porvi un argine, quanto meno nel prossimo futuro. Ricordiamo sempre la parola magica: resilienza. Ossia l’alfa e l’omega della politica “draghiana”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato  – Nuoro)

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Riceviamo e pubblichiamo una puntualizzazione da parte della senatrice del M5S, nonché avvocato, Elvira Lucia Evangelista

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Visto il punto di vista della collega Giuseppina Di Salvatore sul Reddito di Cittadinanza, al netto di alcuni passaggi squisitamente giuridici che come Avvocato posso condividere, da Senatrice del M5S mi preme fare alcune doverose considerazioni.

Il Reddito di Cittadinanza non è stato ideato come misura per il sostentamento minimo a tutti, al fine di eliminare ogni sacca di povertà. Se così fosse sarebbe una misura squisitamente assistenzialista come il REI, ma non lo è. In realtà nasce come una misura proattiva in quanto mira all'inclusione sociale e a rendere occupabili quelle persone estromesse per varie ragioni dal contesto lavorativo, favorendo un percorso di accompagnamento, formazione e informazione che possano poi portare al reinserimento nel mondo del lavoro. Ecco che allora, sicuramente questo aspetto va implementato e curato meglio, poco infatti si è fatto in merito alla riforma delle politiche attive e dei servizi per l'impiego a Costituzione invariata.

Resta inteso che la domanda di lavoro la si incrementa con gli investimenti, e non con le politiche attive e i servizi per l'impiego sic e simpliciter.

Aggiungo, che il RDC abbia disincentivato il lavoro è una bufala creata strumentalmente ad arte da una certa parte politica. In realtà ha sostenuto intere famiglie durante la pandemia ma soprattutto ha dato una speranza di reinserimento nel mondo  del lavoro a persone che per l'età credevano di non averne più diritto. E allora l'impegno delle imprese dovrebbe essere quello di investire e quello di ricercare il personale, non con il passa parola, ma affidandosi a chi è deputato per legge a far incontrare la domanda e l'offerta, e quindi i centri per l'impiego che vanno riformati. Occorre poi educare gli imprenditori a garantire un salario dignitoso e come governo intervenire con misure efficaci come il salario minimo e l'abbattimento del costo del lavoro. E concludo dicendo, che è indubbio in questo scenario che serva anche una politica fiscale realmente distributiva. Sulla riforma del fisco la maggioranza dell'attuale governo sta già lavorando.

Avv. Sen. Elvira Lucia Evangelista 

(Vicepresidente Commissione Giustizia Senato)

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