E va bene che solo Nostro Signore riuscì a sovvertire le rigide regole della matematica quando sfamò cinquemila uomini con appena “cinque pani e due pesci”, ma se la “coperta è davvero troppo corta”, al punto da lasciare scoperti quando la testa o quando i piedi, allora l’unica cosa da fare dovrebbe restare, senza dubbio veruno, quella di impegnare le esigue risorse disponibili finalizzandole al disbrigo dei bisogni primari della popolazione, traducentisi nei termini spiccioli dei consumi energetici, schizzati alle stelle, del paniere dei prezzi al consumo sui beni di prima necessità, anch’essi in rapida ascesa, della predisposizione razionalizzata e generosa di un “welfare”, quale insieme di iniziative, beni e servizi utili al soddisfacimento delle condizioni di benessere della generalità dei consociati.

Nulla di tutto questo sembrerebbe trovare soddisfazione (e probabilmente gioco-forza) nella finanziaria licenziata dall’esecutivo di Giorgia Meloni, provocando di conseguenza il rapido scemare dell’entusiasmo suscitato dalla presenza di un Presidente del Consiglio finalmente donna alla guida di un Paese che di tutto parrebbe aver bisogno ma che, sistematicamente, finisce per ritrovarsi ai nastri di partenza con quasi un “nulla di fatto”.

I miracoli riuscivano solo a Nostro Signore, e di certo la nostra “Giorgia” nazionale, per quanto impegno possa proferire, più di tanto non può né potrà fare: propaganda a parte, sia essa di destra sia essa di sinistra, perché davvero non è questo il momento, e perché quando si finisce sui banchi dell’opposizione tutti sembrano avere le soluzioni in tasca dimenticando che quando stavano bene assisi sui banchi della maggioranza di Governo nulla di più erano riusciti a fare. E pertanto. Ora come allora, ai tempi del Governo Conte si intenda, era davvero urgente intervenire sul tetto all’utilizzo del contante che ben poteva restare fissato a duemila euro consentendo alle famiglie italiane un utilizzo più fluido del danaro? Ora come allora era così importante tagliare le spese necessarie al sostegno della Sanità Pubblica di cui tanto abbiamo bisogno? Oggi è davvero necessario suscitare in negativo il comune senso della precarietà e della (in)stabilità finanziaria di milioni di italiani minando alla radice l’erogazione prossima futura del Reddito di Cittadinanza che, malgrado tutto, negli ultimi tempi altamente critici di pandemia e di riconnesso disagio economico ha comunque consentito a tante famiglie di resistere ai “morsi” della fame e della disperazione?

Intendiamoci tuttavia a scanso di equivoci: è sempre errato porre in stretta correlazione le misure utili al rinvenimento di una occupazione con una misura direttamente finalizzata al contrasto della povertà di quei soggetti definibili nei termini specifici della “non occupabilità”, tuttavia, è altrettanto vero che “ad impossibilia nemo tenetur” (in Italia a fronte di una “domanda” elevatissima, l’“offerta” di lavoro è altamente carente) e lo Stato non può certo voltarsi dall’altra parte fingendo di non accorgersi del problema. Siamo un Paese di poveri: perlomeno questo parrebbe essere lo “status quo”. Chi dovrebbe provvedere a “pareggiare” il cosiddetto “disavanzo” qualitativo e quantitativo rispetto alle condizioni dei più fortunati cittadini dei partner europei? Il rispetto del principio di uguaglianza, valido ed operante tanto sul piano nazionale quanto su quello europeo, presupporrebbe che situazioni dissimili vengano trattate in maniera mirata e opportuna finalizzata al raggiungimento di condizioni di parificazione sostanziale e formale rispetto ai più fortunati Membri europei. Laddove questo non sia un risultato utilmente conseguibile nel breve e/o medio periodo, è comunque corretto imporre ai paesi disagiati le medesime rigide condizioni economiche dell’Unione? È chiaro che, anche prescindere dalle responsabilità dei vari Governi succedutisi alla guida del Paese, l’Italia, rispetto all’Europa, sembrerebbe patire una sorta di “trattamento discriminatorio” dovuto alle differenti velocità di sviluppo e di ricchezza conseguibile, se conseguibile.

Non si tratta di volerci piangere addosso, ma semplicemente del voler prendere atto di una condizione di difficoltà che necessita di essere rimediata. Le decisioni assunte dal Governo Meloni sono quando di carattere prudenziale e draghiano, quando di carattere propagandistico, ma con il fiato dell’Europa sul collo sfiderei chiunque a fare di meglio. Non deve essere certo facile barcamenarsi tra l’esigenza di governare correttamente e senza sbavature e quella di conservare il consenso perseguito. Delle due l’una. E di certo la seconda, allo stato, appare l’unica esigenza sacrificabile.

La Manovra non piace ai più, né potrebbe essere altrimenti, e probabilmente i pochi soldi disponibili si sarebbero potuti impegnare meglio. Tra “vincolo esterno” e rigide “regole europee”, che non possono in alcun modo essere violate, l’Italia rischia di andare a fondo. Nulla di nuovo dunque sotto il sole: destra o sinistra al governo, poco o nulla conta, la musica non cambia perché solo e unicamente l’Europa comanda. Se è vero, come è vero, che avremo bisogno di più “deficit” perché andiamo incontro ad un arresto forzoso della crescita, tuttavia, il rischio è quello di avvantaggiare non tanto le classi sociali più umili, ma quello di favorire i ceti più abbienti (parliamo di redditi superiori ai 65.000,00 euro per capirci) che gioverebbero peraltro di misure fiscali di favore ingiustificate rispetto alle condizioni economiche vantate. Si tratta di fare i conti della serva senza la necessità di ricorrere al parere di grandi economisti.

Insomma, alla fine della fiera, eccezion fatta per il rinnovo degli sgravi per il caro energia, sui quali comunque si sarebbe potuto fare di più e meglio, tutto il resto non parrebbe servire a granché se non a provocare disagio sociale nel medio lungo periodo. Se si fosse ancora in tempo a fare dietro front, forse sarebbe il caso di provvedere con una certa sollecitudine senza perdere ulteriore tempo utile. Le parole d’ordine sono poche e chiare: “no” alla privatizzazione del Servizio Sanitario che è e deve restare Nazionale e Universale, “sì” a un “welfare” improntato a ragionevolezza, “sì” al sostegno alla povertà, “sì” alla detassazione proporzionale anche quale solo misura provvisoria emergenziale.

La politica è argomento per coraggiosi, e il coraggio, se non lo si possiede, di certo non si compra al mercato la mattina: è pura e semplice questione di sopravvivenza e “Giorgia” dovrebbe spogliarsi di ogni retaggio ideologico o partitico e pensare al Paese, a quel Paese fatto di gente che ogni mattina si alza, vive e lavora, quando ha la fortuna di poterlo fare, cercando e sperando di sbarcare il lunario. “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana”: sono parole pronunciate dalla leader di Fratelli d’Italia a Roma, in Piazza San Giovanni durante una manifestazione del centro-destra. E se noi volessimo crederci, e farci affidamento? Le urne hanno voluto premiarla, lo farà pure la realtà contingente? 

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

© Riproduzione riservata