Si finisce per ritornare sempre e comunque al punto di partenza, e non sempre lo si fa in maniera utile. In Commissione Giustizia è ripresa, per essere di fatto immediatamente aggiornata, la discussione generale sul disegno di legge delega di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia, per intenderci, di quella che viene considerata la Riforma di tutte le Riforme la quale, negli intenti, parrebbe proporsi l’obiettivo di epurare la magistratura dalle storture e dai vizietti del “correntismo” ancora dilagante per restituirla poi restaurata (quanto meno si spera) alla collettività dei consociati.

Se si tratti, oppure no, di un progetto idoneo a riflettere risvolti pratici concreti e tangibili sarà solo il tempo a dirlo, dal momento che, da due anni a questa parte, malgrado “Palamara” quale “cold case” assunto a paradigma di un “sistema” dai connotati assai più pregnanti, e malgrado l’urgenza del dover procedere, nulla invero si è potuto e/o voluto fare al proposito. A volerla dire tutta, il punto nodale dell’intervento legislativo dovrebbe concentrarsi unicamente, e/o comunque in maniera prevalente, sul “dispositivo” elettorale dei componenti del Consiglio Superiore, da conseguirsi attraverso una riforma che possa sradicare, una volta per tutte, “intese”, “alleanze” e pratiche distorsive di regole normative poste a tutela dei corretti meccanismi di competizione elettorale.

Si tratterebbe di condurre una operazione di politica giuridica di epurazione utile a scongiurare non solo, e nell’immediato, il rischio di indire le prossime elezioni sotto il regime di regole desuete e meccanismi oramai insostenibili che altro effetto non sortirebbero se non quello di continuare ad alimentare quell’articolato e vetusto “sistema”, ma anche, e soprattutto, di condurre una operazione di politica giuridica utile a garantire la piena ed efficiente restaurazione dell’equilibrio, costituzionalmente garantito, tra i Poteri dello Stato, i quali, nel momento stesso della loro esplicazione, presuppongono, quanto meno in linea di principio, l’indipendenza “interna” (in relazione alla categoria di specifica appartenenza) ed “esterna” (in relazione ai rapporti reciproci) dei loro singoli rappresentanti.

L’impresa è senza dubbio titanica, né si può verosimilmente pretendere che la si porti a termine nel volgere di pochi e frenetici mesi solo per dare seguito ad un pur comprensibile “input” di rilievo sopranazionale. Ma questa è un’altra storia e occorrerebbe aprire un dibattito ulteriore che, in questo momento, avrebbe unicamente il sapore della estemporaneità. Un particolare sembra, tuttavia, essere emerso in maniera inequivocabilmente espressa: nonostante tutto, il Consiglio Superiore della magistratura deve continuare ad esistere, e deve resistere. Il postulato è monolitico nella sua incidenza e, piaccia oppure no, presuppone quanto meno un triplice ordine di riflessione: quello per cui ogni potenziale riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura non possa prescindere dalla opportuna considerazione della pluralità di culture e anime che caratterizzano la Magistratura stessa nella sua articolata complessità soggettiva; l’altro, non meno importante, per cui il nuovo predisponendo sistema non possa e non debba mortificare la possibilità di scelta degli elettori e il rispetto della rappresentanza di genere; l’ultimo, il più complesso, il quale, nel porsi quale strumento di sintesi, presuppone l’armonizzazione razionale dei primi due utile a conseguire l’abbattimento dei pericoli derivanti dal “correntismo degenerativo”, ossia dalla cattiva gestione “umana” e “politica” delle differenti “anime” esistenti e operanti all’interno della “categoria”.

Ebbene: come volevasi dimostrare, si finisce per tornare sempre e comunque ai nastri di partenza, senza neppure passare per il via. Perché il vero problema da affrontare e risolvere, e non è detto che si riesca a farlo, è innanzitutto quello di capire quali dovranno essere le modalità di individuazione dei singoli candidati pur nel rispetto della pluralità delle culture esistenti e pur nella necessità, assunta a base dell’intervento, di non restare travolti dalla forza delle “correnti”. Che poi quella modalità di scelta sia punto di partenza (Madre) o, invece, punto di arrivo (Embrione) di una Riforma dai risvolti contingibili e, per molti versi, inimmaginabili a voler essere onesti, è questione di altro tenore e induce e prelude a riflessioni alternative che rischiano di complicare ulteriormente un “sistema”, quello riconducibile ai parametri di funzionamento del Consiglio Superiore per intenderci, già di suo fin troppo articolato e burocratizzato che da sempre ha dovuto fare i conti con la sua questione identitaria, ossia con la sua stessa qualità di “Organo di Garanzia della Autonomia e della Indipendenza della Magistratura Ordinaria” chiamato a preservare e attuare la premessa costituzionale di autonomia e indipendenza, quella di idonea e rispettosa rappresentanza, oltre che quella della lotta alle degenerazioni corporative al fine di attualizzare, di riflesso, e di conseguenza, la trasparenza nell’esercizio dell’autogoverno della magistratura.

Ma siamo davvero sicuri che il male si nasconda unicamente nell’esistenza e nell’articolarsi delle “correnti”? Siamo sicuri che non si tratti solamente di questione etica soggettivamente vissuta e interpretata che prescinde da qualsivoglia sistema e che discende unicamente dall’intenzionalità umana dell’interlocutore di turno? Se non fosse questione di meccanismi ma puramente e semplicemente affare di uomini e donne al potere? Si sarebbe costretti, e Marta Cartabia per prima considerato l’attuale suo ruolo, a fare i conti con il concetto stesso di indipendenza della magistratura quale punto di partenza di una Riforma bi-fronte che vede il giudice come soggetto unicamente alla legge, e non quale soluzione liberatrice priva di contenuto pregnante. In questo senso, ci chiediamo, è ancora possibile immaginare, e soprattutto realizzare, un Consiglio Superiore della Magistratura che possa dirsi fieramente indipendente rispetto agli altri Poteri dello Stato all’interno del quale ciascun componente possa agire nell’interesse esclusivo della istituzione che rappresenta?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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