Mancano pochi giorni all’inizio delle danze per il Quirinale, l’elezione che più di tutte misura le condizioni di salute della politica tra giochi di forza, congiure e rese dei conti. 

La prima chiama per i 1009 cosiddetti "grandi elettori” (630 deputati, 315 senatori, 58 delegati regionali e 6 senatori a vita) è stata fissata per il 24 gennaio: si procederà alla Camera con una votazione (segreta) al giorno e non due come di consueto al mattino e al pomeriggio. Per i primi tre voti sarà necessaria la maggioranza dei due terzi (in questo caso 673), a partire dalla quarta basta la maggioranza assoluta (505). Salvo particolari stravolgimenti, dunque, il nome del successore di Sergio Mattarella sul colle più alto di Roma arriverà tra il 24 e il 27 gennaio. 

L’impresa del voto alla prima chiama finora è stata compiuta solo da Francesco Cossiga nel 1985 e da Carlo Azeglio Ciampi nel 1999. E stavolta? C’è un nome che potrebbe ottenere una larga e trasversale maggioranza, ed è quello dell’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma è difficile che la partita possa chiudersi già lunedì, più probabile che si converga sul nome del premier successivamente. Quel che è certo è che con (circa) 463 voti del centrosinistra e (circa) 452 voti del centrodestra, al netto dei franchi tiratori, nessuno è in grado di fare da solo. Decisivi saranno quindi gli altri 94 grandi elettori provenienti dal gruppo Misto (tante teste e nessuna regia) o non iscritti ad alcuna componente.

Ecco quali sono le posizioni dei partiti, più o meno esplicitate finora.

CENTRODESTRA – Matteo Salvini e Giorgia Meloni prendono tempo mentre il presidente di Forza Italia e padre del centrodestra Silvio Berlusconi, protagonista della cosiddetta “operazione scoiattolo” per raccattare i voti a suo favore, non si arrende. Non ancora almeno, nonostante Vittorio Sgarbi lo abbia definito “triste” e in procinto di pensare a “una via d’uscita onorevole”.

L’ex Cav avrebbe dovuto dire domani se vuole andare fino in fondo oppure no in un vertice della coalizione che è stato però cancellato. Domani Berlusconi resterà ad Arcore e la riunione potrebbe tenersi nel fine settimana, anche se c'è chi azzarda che possa non tenersi affatto. 

I voti di Berlusconi per il momento sfiorerebbero i 500, una cifra che però non gli garantisce alcuna certezza neanche dalla quarta chiama. Per Salvini, che spera ancora di fare il “kingmaker” di una figura di centrodestra, l’obiettivo è arrivare a lunedì con un nome solo per tutte le tre forze: se non sarà Berlusconi, sarà qualcuno che mette tutti d’accordo. Su Mario Draghi non ci sono veti particolari, e sondate altre piste più di destra è possibile che si convergerà su di lui. Ma il trasloco dell’attuale premier al Colle sarebbe un bella grana per il governo. Anche tra le forze di centrodestra, con Meloni che spingerebbe per tornare alle urne e gli altri che invece voglio arrivare alla fine della legislatura nel 2023.

CENTROSINISTRA E M5S – Il centrosinistra e il Movimento Cinquestelle lavorano (relativamente) insieme. Per il momento un nome condiviso non c’è. C’è il no a Berlusconi, ma se l’ex premier dovesse alla fine decidere di non presentarsi si affaccerebbe un nuovo problema. Quello di dire di no ad altri nomi che circolano nel centrodestra, come l’attuale presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, l’ex ministro dell’Istruzione Letizia Moratti o il senatore Pier Ferdinando Casini.  

Il nome di Draghi sembra l’opzione numero uno per il segretario del Pd Enrico Letta e per alcune correnti dem, come Base riformista di Lorenzo Guerini, composta dagli ex renziani. Ma non piace affatto al leader dei Cinquestelle Giuseppe Conte e neanche a Roberto Speranza, capofila di Liberi e uguali, che oggi hanno incontrato Letta. "Lavoreremo insieme per dare al Paese una o un presidente autorevole in cui tutti possano riconoscersi. Aperti al confronto, nessuno può vantare un diritto di prelazione", è il tweet che è venuto fuori dal vertice. Dai pentastellati più che da tutti gli altri emerge il timore del voto anticipato, paura secondo fonti M5s condivisa dalla "stragrande maggioranza" dei gruppi parlamentari, anche del Pd e Leu. Una linea che Letta rigetta con forza: sul piatto c’è un patto di legislatura per arrivare al 2023. L’ascesa di Draghi, così, non creerebbe alcuno scossone.

(Unioneonline/D)

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