Giuseppe Conte incassa la fiducia ma non ha ancora vinto la partita. Dopo la maggioranza assoluta ottenuta ieri alla Camera in seguito alla crisi aperta da Matteo Renzi, il presidente del Consiglio supera anche lo scoglio del Senato, ma ringrazia l'astensione di Italia Viva, che perde qualche altro pezzo.

Non sono bastate due defezioni all'ultimo minuto di Forza Italia (Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi, cacciati dal partito subito dopo) e il sì di Riccardo Nencini (Italia Viva-Psi) per raggiungere la maggioranza assoluta di 161 senatori.

Sono 156 gli onorevoli che hanno votato la fiducia al governo, 140 i contrari, 16 gli astenuti. Con il no di Italia Viva sarebbe un 156 pari, insomma.

Non c'è la maggioranza assoluta ma il governo raggiunge e anzi supera la soglia "psicologica" di 155 che si era imposto. E considerando il senatore Francesco Castiello (M5S), assente perché positivo al Covid, i voti sono 157, ne mancano quattro quindi per arrivare alla fatidica quota 161. Che, pur raggiunta grazie a senatori a vita e componenti del gruppo Misto senza una formazione politica, non sarebbe certo garanzia di stabilità.

E ORA? - Ora inizia un'altra partita, ancora più importante di quella che abbiamo visto in questi due giorni. Quella in cui Conte si gioca la permanenza a Palazzo Chigi. Il premier può trattare con i centristi (alcuni che hanno votato no hanno lasciato spiragli aperti per il futuro) e continuare con questo governo, rivedendo qualche ministero o semplicemente distribuendo i tre posti lasciati vacanti da Italia Viva, magari sottraendo qualche altro onorevole a Renzi.

O può tornare al tavolo con l'ex premier toscano, ipotesi difficile dopo il duro scontro odierno in Aula ma non da escludere.

Correttezza istituzionale vorrebbe che Conte salga prima al Colle per riferire a Sergio Mattarella le sue intenzioni future. Difficile che si dimetta avendo raggiunto il suo obiettivo, se i voti fossero stati 152 o 153 lo avrebbe potuto fare.

IL DIBATTITO IN SENATO - Nel pomeriggio il premier aveva incassato l'ok di Tommaso Cerno (ex Pd, poi Italia Viva, poi Misto, oggi rientrato nel Pd), di Sandra Lonardo (lady Mastella), dei senatori a vita Liliana Segre e Mario Monti e di qualche ex pentastellato come Gregorio De Falco.

Già si sapeva del sì di Casini e dell'astensione dei renziani, non è arrivato il soccorso di Bonino e Binetti ("Ma in futuro mai dire mai", ha dichiarato quest'ultima).

Duro lo scontro in Aula tra il presidente del Consiglio e Matteo Renzi. "Mercato indecoroso di poltrone", l'attacco del leader di Italia Viva. "Una crisi irresponsabile, quando avete chiesto il dialogo le nostre porte sono state sempre aperte, a un certo punto avete scelto la strada dell'aggressione e degli attacchi mediatici", ha detto il premier.

IL GIALLO CIAMPOLILLO, INTERVIENE IL VAR - Si è concluso con un colpo di scena il voto al Senato: si è scatenata la bagarre ed è stata chiamata in causa la moviola per accertare la regolarità del voto di Ciampolillo, senatore ex M5S tra gli indecisi. Alla fine lui e Nencini (Psi-Italia Viva) sono stati ammessi al voto, e hanno detto sì alla fiducia al fotofinish. Due voti fondamentali per superare l'agognata quota 155.

CENTRODESTRA AL COLLE - Il centrodestra chiama in causa il Capo dello Stato.

"Ci rivolgeremo a Mattarella: c'è un governo che non ha la maggioranza al Senato e sta in piedi con chi cambia casacca. Ce la fanno grazie a due di Forza Italia e ai senatori a vita", afferma Matteo Salvini.

"Rispetto alle premesse e alle speranze di Conte e Casalino le cose non sono andate come speravano: sentivo parlare di decine di responsabili ma al netto di casi singoli, dall'altra parte ce ne sono di più, il centrodestra ha mantenuto la sua compattezza e non era scontato. Ho parlato con Salvini, parlerò con Berlusconi. Ora dobbiamo chiedere un colloquio con il Colle", dichiara invece Giorgia Meloni, che esclude un governo di unità nazionale. "Il voto è l'unica strada per rialzarsi".

(Unioneonline/L)

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