Possiamo cercare di addolcire la pillola quanto vogliamo, ma il risultato non sarà mai soddisfacente. Non per coloro, quanto meno, che avrebbero voluto, e vorrebbero sentire, parole di autentica legittimazione in rapporto ad una formazione di governo tutto sommato voluta da una certa parte di popolo italiano recatosi alle urne il 25 settembre scorso. Perché dunque spaventa la “destra” di Giorgia Meloni? O meglio: a turbare le élite europee è l’idea stessa della “destra” di governo, o la sua attuale personificazione?

La distinzione non è di poco conto, e potrebbe addirittura porsi come presupposto di una ideologia nuova fondata sulla distinzione tra l’impianto ideologico comunque considerato e la sua espressione fisica. Intendiamoci: tutto quanto andasse oggi a formare il pensiero di destra parrebbe apparire come differente rispetto a quanto andasse a costituire il pensiero della società contingente, o comunque di gran parte di essa. Esiste in buona sostanza un margine culturale profondissimo che non può in alcun modo essere colmato in un batter di ciglio solo perché gli italiani, per la prima volta nella storia politica del Paese, si sono ritrovati con un Presidente del Consiglio di sesso femminile che, sul piano della “identità di genere”, ha provocato l’esultanza di quanti si sono crogiolati nella circostanza senza andare a considerarne la sostanza. Non è bastata, né può mai bastare, una vittoria elettorale schiacciante a segnare la legittimazione di una classe dirigente dai contorni spuri e contraddittori.

Potremmo discorrere intere giornate: ma il problema resterebbe sempre e comunque il tentativo di superamento di una idiosincrasia culturale incapace di raggiungere il suo compimento. Dicendolo altrimenti: o l’Italia si rassegna ad accogliere un cambiamento di paradigma sul piano culturale in tempi rapidi, oppure la “destra” di Giorgia Meloni, così ambigua nel voler proseguire sul solco draghiano sol per poter essere accolta in Unione Europea con il favore delle Istituzioni maggiormente rappresentative per poi discostarsene con misure che parrebbero contraddire l’intento originario (l’atteggiamento compiacente con i medici no vax ad esempio), o dovrà rassegnarsi a modificare il proprio impianto ideologico.

Giorgia Meloni sembrerebbe essere arrivata a sedere su uno degli scranni più alti di governo, ma non è riuscita, in alcun momento, a sdoganare la sua “destra” rispetto ad una concezione della medesima di carattere internazionale che la considera troppo vicina a quella di capi di Stato come Victor Orban che, di sicuro, tutto possono assicurare all’Europa fuorché la stabilità politica ed economica voluta ed interpretata dalle Cancellerie di Francia e Germania. Ed ecco allora perché Meloni, anche a tutto voler considerare, più che sorrisi di circostanza, nulla sembrerebbe essere riuscita a riportare in Italia sul piano provvedimentale. Questo non significa che la “sinistra” possa continuare a sperare di poter ritornare alla guida del Paese semplicemente agitando lo spauracchio di un conservatorismo spicciolo di cui la gran parte degli italiani non sembra avere affatto timore.

Lo si è ripetuto infinite volte: una “destra” che si presentasse agli occhi del mondo come sinceramente incardinata negli schemi del conservatorismo più classico, e mai retrivo, sarebbe lo stimolo giusto anche per far rinascere una “sinistra”, rimasta sopita nel corso degli anni per aver smarrito il proprio impianto ideologico. Il comunismo resta, al pari del fascismo, un retaggio storico pesante da portare non solo per i partiti che si fondano su quelle tradizioni, ma per l’Italia intera condannata, suo malgrado, a restare ancorata, nell’immaginario collettivo globale e globalizzato, a ideologie che nessuno degli interpreti attuali di governo è mai riuscito a cancellare e rifondare all’insegna di un progressismo autentico. Il crollo della coalizione riunitasi, suo malgrado, a sostegno di Mario Draghi per esserne stata richiesta proprio dal Presidente della Repubblica, e nonostante il plauso di gran parte degli italiani, è sopraggiunta in un momento delicatissimo sul piano dei rapporti tra il nostro Paese e l’Unione Europea. Quello di Mario Draghi restava, comunque, il Parlamento più euroscettico e contraddittorio della storia, siccome animato da un Presidente del Consiglio dei Ministri concepito come personificazione salvifica dell’impianto europeo, ma turbato dalla presenza di forze anti-sistema nate e concepite per porsi in contrasto con il potere costituito.

Il trionfo di Giorgia Meloni è apparso come la cosiddetta “ciliegina” sulla torta, come l’evento che parrebbe aver segnato la cristallizzazione della crisi politica italiana giunta al suo compimento. Se l’esperienza di Mario Draghi poteva essere concepita dalle grandi Cancellerie Europee come idonea a chiudere il cerchio di un piano di risanamento attraverso la riforma in senso socialista e statalista dello stato italiano, al contrario le sue dimissioni e l’avvento al potere della destra populista parrebbero aver infranto l’impianto concordato provocando uno shock irrimediabile sul piano del processo di consolidamento di una certa idea di Europa. Lo scioglimento di quella coalizione di governo arcobaleno ha contribuito ad evidenziare tutte le tensioni che un Paese come il nostro può esprimere nel contesto di un conflitto che non eravamo in condizioni di poter sostenere.

Il vero problema di questa “destra”, in poche parole, e anche a voler trascurare tutto il resto, è il ritorno al potere di forze politiche che nel passato recentissimo si sono contraddistinte – diremmo per fortuna pensando ai benefici sul piano energetico che ne abbiamo ritratto – per essere state estremamente compiacenti nei confronti di Vladimir Putin. Commisero peccato? E chi può dirlo: “Del senno del poi son piene le fosse”. Una cosa sola appare certa: sono sopraggiunti tempi durissimi per l’Italia, per l’Eurozona, per l’Unione Europea. Il clima di sfiducia da sempre esistito sul piano delle relazioni internazionali a cagione della costante instabilità dei nostri governi non è facile da superare e non esistono leader, neppure la Giorgia nazionale, in grado di provocare una utile inversione di tendenza. La “destra” appare quasi “castrata”, la “sinistra” sembra non esistere, e il “centro”, tutto da definire e da comprendere, è ancora “desaparecido”. Siamo in alto mare, la “destra” spaventa, è vero, ma a giudicare dagli esiti delle ultime urne la “sinistra” pare spaventare assai di più.

Giuseppina Di Salvatore 

(Avvocato – Nuoro)

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