Se “il buongiorno si vede dal mattino”, allora, le premesse nebulose di questa ulteriore “tornata” elettorale non possono che tradire ogni aspettativa sul fronte non solo della concludenza programmatica che dovrebbe ispirarne l’andamento, ma anche delle conseguenze, sul piano costituzionale, che si andrebbero a determinare nell’ipotesi di prevalenza dell’una o dell’altra delle due sedicenti coalizioni in campo, accomunate, invero, dall’esigenza di esprimere, sia pure in modi differenti, l’ideale meta-politico dei “pieni poteri” apparentemente declinandolo in senso democratico per offrirgli, assai illusoriamente, una parvenza di ammissibilità.

Intendiamoci tuttavia. Se tanto il centrodestra quanto il centrosinistra parrebbero intenzionati a quasi “mistificare” le relative intenzioni per non averle chiare neppure al loro interno, comunque, appare necessario, per non voler dire vitale, cercare di comprendere cosa intendano rispettivamente gli uni e gli altri con la locuzione “pieni poteri”, e rispetto a cosa e chi, o meglio ancora, rispetto a quali “altri” poteri debba trovare esplicazione quella “pienezza” soprattutto se considerata sugli esiti di una legge elettorale che tutto sembra garantire fuorché la realizzazione di un “regime” di “pieni poteri”. 

Intanto, perché la precisazione non è solo di metodo, ma soprattutto di sostanza, siccome del tutto idonea a travolgere, nella sua declinazione più spuria, il profilo istituzionale di un Paese che ha sempre fatto della cosiddetta “separazione dei poteri” il riferimento cardinale della propria rappresentazione democratica. Quindi, perché, la prima e più pericolosa delle degenerazioni che potrebbero conseguirne non può che assumere, e non solo sul piano dell’immaginario comune, l’immagine perversa dell’“uomo solo al comando”, individuato quando in salsa presidenzialistica per quanto concerne il centrodestra, quando in salsa tecnico – giuridica per quanto parrebbe attenere il centrosinistra, fermo restando che la pure differente nomenclatura, lungi dal voler essere distintiva, e lungi dall’esserlo nei fatti, rappresenta una mera semplificazione linguistica fine a se stessa siccome, in fondo, destinata a tradire la medesima identità dei due schieramenti per essere garantita, quella identità dallo stesso “provvidenziale” Rosatellum “salva tutti”.

Infine, perché, tanto da una parte, quanto dall’altra, un po’ per intenzione, un po’ per “insipienza”, non si riesce a definire l’ideologia che dovrebbe sottendere la concessione dei ridetti “pieni poteri”, il cui contenuto continua invero a restare indefinito e perciò stesso pericoloso per le sorti di un Paese democratico votato alla “libertà”.

Sembrerebbe quasi scontata questa riflessione, eppure non lo è affatto e meno male che non lo sia, perché anche il solo fatto di ragionarci intorno rivela che ancora non siamo giunti al limite del baratro pur essendoci vicini. Se poi pensiamo che proprio il parlamento, negli ultimi anni, ha visto progressivamente compromesso il proprio ruolo, e da ultimo probabilmente anche per sua scelta, essendosi dovuto rimettere all’invito del Presidente Sergio Mattarella impositivo della figura del tecnico per eccellenza Mario Draghi, allora, forse, non dovremo stupirci più di tanto. “A buon intenditor, poche parole”: nel senso che oramai, i “pieni poteri” non si conquistano, semplicemente si ottengono per “mutuo consenso”: questa è la vera e propria stortura sintomatica dell’inefficienza partitica e dell’inutilità del ruolo che dovrebbe essergli proprio. È così “per molti, ma non per tutti”, perché evidentemente “alcuni sembrerebbero essere più uguali di altri” nel contesto delle dinamiche di distribuzione dei diritti, dei doveri, e degli stessi poteri. E a Parlamento numericamente ridotto questo “non-senso” istituzionale troverà il suo momento di massima espressione, con ogni conseguenza sul piano del “buon governo”, divenuto oramai una pura e semplice chimera siccome interpretato da troppo tempo da una maggioranza che parrebbe aver oltrepassato quel limite invalicabile per percorrere un cammino differente, ancora indefinito per essere distante dalla formula costituzionalmente imposta.

Ma diciamocela tutta: a chi giova un Presidente della Repubblica, apparentemente, illusoriamente, direttamente scelto dal Popolo che concentri su di sè i “pieni poteri”? E a chi giova, per converso, che quei “pieni poteri” siano altrimenti conferiti dal Parlamento a “chicchessia” affinché si assuma la responsabilità di scelte di governo tutt’altro che “popolari” nel senso comune dell’espressione?

Le risposte sono direttamente conseguenti: tanto la formula del centrodestra quanto quella del centrosinistra, sembrerebbero costituire, nel loro insieme, la rappresentazione congiunta della propria incapacità, quasi una dichiarazione spontanea di inadeguatezza a ricoprire il ruolo conteso.

Ma allora con quale animo il popolo dovrebbe avvicinarsi alle urne il prossimo 25 settembre? A favore di chi o cosa dovrebbe esprimere la propria preferenza nella consapevolezza che l’incidenza del proprio voto sarà minimale rispetto ad un esito promiscuo inidoneo a garantire la governabilità?

Resta tuttavia una magra consolazione al popolo, e tanto il centrodestra quanto il centrosinistra dovrebbero fare memoria. Non è la prima volta che quanti abbiano tentato di modificare, o meglio stravolgere, la Carta Costituzionale, sacra per definizione, siano poi crollati sul piano politico.

Da ultimo, sembra essere andato incontro al suo destino il Movimento 5 Stelle, promotore della riforma del cosiddetto “taglio” del numero dei parlamentari che avrà come conseguenza diretta ed immediata un vulnus profondo ai principi democratici tradendo in radice proprio quell’ideale di massima rappresentatività quale connotazione tipica del nostro parlamento.

Allo stato dell’arte, e se non interverrà una inversione di rotta a 360 gradi all’interno delle coalizioni contendenti, il 25 settembre saremo forse chiamati ad esprimere un voto che lungi dall’interpretare la preferenza per due differenti formule di governo, potrebbe rivelarsi rappresentativo di una medesima ideologia condita in salse solo apparentemente alternative. È davvero questa l’Italia che vogliamo?

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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