Le due teste pesanti cadute oggi - quella di Giuseppe Procaccini, capo di Gabinetto del ministro Alfano, e di Alessandro Valeri, capo della segreteria del capo della segreteria del Dipartimento di Pubblica sicurezza - sono solo le prime di una serie di avvicendamenti che riguarderanno i vertici della sicurezza italiana. Al palazzo parlano di "rivoluzione copernicana". E di una cordata, quella battezzata da Gianni De Gennaro e proseguita con Antonio Manganelli, che potrebbe essere arrivata al capolinea.

Alfano ha annunciato oggi in Parlamento una "riorganizzazione complessiva del Dipartimento" perché non si ripeta più un altro caso Ablyazov che ha mostrato una serie di lacune e corto circuiti comunicativi negli apparati preposti a gestire la sicurezza del Paese. Sarà il capo della polizia Alessandro Pansa a formulare "quanto prima" una proposta all'attenzione del ministro.

Pansa è stato nominato il 31 maggio, mentre Alma Shalabayeva e sua figlia venivano messe dai poliziotti su un aereo diretto ad Astana. E c'è chi sottolinea come quei due mesi senza capo - tra il 20 marzo, data della morte di Manganelli ed il 31 maggio, nel vuoto di potere del passaggio da un Governo all'altro - spieghino molte delle cose che ultimamente non hanno funzionato ai vertici della sicurezza. I primi a saltare sono dunque Procaccini e Valeri, entrambi vicini alla pensione. Il primo - di carriera prefettizia - era stato nominato capo di Gabinetto dal ministro Maroni, nel 2008.

Era stato poi confermato nell'incarico da Annamaria Cancellieri e successivamente da Alfano. Si tratta di un ruolo molto delicato, è il "filtro" che seleziona i temi e le richieste da portare all'attenzione del ministro ed è anche colui cui quest'ultimo affida le incombenze operative. Una persona che deve dunque godere di assoluta fiducia dell'autorità politica.

C'è poi Valeri - carriera in polizia - da molti indicato come una persona perbene e stimata. Entrambi, nella relazione consegnata da Pansa ad Alfano, avrebbero dovuto capire che la piega presa dalla vicenda kazaka imponeva di portare la cosa all'attenzione del ministro, ma non l'hanno fatto e dunque pagano. Ma ci sono altri alti funzionari citati nella relazione e che rischiano. Per loro non ci saranno però rimozioni traumatiche, ma spostamenti di ruolo o scivolamenti verso la pensione che indicheranno comunque una responsabilità avuta nella gestione del caso. In primis il vicario di Pansa, Alessandro Marangoni, 61 anni.

Difficile che possa rimanere al suo posto, visto che che nei giorni dell'affaire Ablyazov - vacante il ruolo di capo dopo la morte di Manganelli - era lui il responsabile del Dipartimento. Per Marangoni potrebbe esserci la prefettura di una città importante. Altri due nomi coinvolti sono quelli di Francesco Cirillo, vicecapo della polizia e direttore della Criminalpol, e Gaetano Chiusolo, direttore centrale anticrimine.

Entrambi non avrebbero compreso che Ablyazov non era un pericoloso criminale, ma un dissidente che godeva dell'asilo politico a Londra. I due sono alle soglie della pensione che potrebbero raggiungere senza traumi. C'è poi il questore di Roma, Fulvio Della Rocca. La questura è accusata nella relazione di essersi comportata in modo burocratico nella vicenda. Della Rocca sarà spostato dalla Capitale. Così come il capo dell'Ufficio Immigrazione della questura, Maurizio Improta.

Tra le nomine "indolori" prevista poi quella del capo del servizio centrale immigrazione, attualmente vacante dopo che il titolare Rodolfo Ronconi è andato in pensione. Ma, al di là dei nomi, Pansa proporrà una revisione di procedure, informative ed operative, che hanno ormai mostrato la corda, non solo con la vicenda kazaka. Dopo un lungo periodo di stasi e di cristallizzazione di carriere il Viminale volterà pagina.
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