Il sovranismo antieuropeista alla fine ha avuto la meglio nel Regno Unito. Il 31 gennaio ultimo scorso, infatti, verrà ricordato come il giorno del divorzio tra, appunto, la Gran Bretagna e l’Unione Europea.

Eppure stupisce che un Paese così attento a cogliere gli insegnamenti della storia sia potuto inciampare nella trappola tanto mentale quanto politica di quello che possiamo definire un paludoso quanto banale “corso-ricorso” storico.

Precisamente, quello che tende a riflettere all’“esterno”, per così dire, le gravose responsabilità per gli innumerevoli ed irrisolti mali “interni”, e che viene ancora oggi da taluni opportunamente strumentalizzato per deviare l’attenzione rispetto all’unica reale origine di quegli stessi mali, troppo spesso rinvenibile nella pessima gestione della cosa pubblica a livello nazionale e particolare-locale. Nel caso specifico, tuttavia, e ad onor del vero, occorre pure ammettere che i rapporti con l’UE sono sempre stati piuttosto incerti fin dal momento dell’adesione alla CEE nel 1973, e di poi, sempre più, soprattutto quando il potere veniva orgogliosamente gestito dalla c.d. “Signora di ferro”, Margaret Thatcher, profondamente euroscettica e fortemente critica rispetto ai contributi che il suo Paese era costretto a versare.

COSA SUCCEDERA' - Ma, al di là di tutto, alla fine dei conti, questa Brexit, tanto attesa e sperata, farà davvero la fortuna del Regno Unito? Cosa cambia realmente per gli inglesi residenti e non residenti nel Regno Unito e per gli altri cittadini europei, sardi compresi? L’abbandono del sogno europeo potrebbe determinare un processo di crescita concreta per la nostra bella Italia? Gli interrogativi sono certamente intriganti, le risposte, invece, forse deludenti, quanto meno per molti, anche se non per tutti.

Intanto, e con buona pace degli inglesi, che a mio modo di vedere sono solo riusciti a fare tanto rumor per nulla trovandosi costretti al pentimento da qui a qualche anno, perché nel breve termine non succederà proprio un bel niente essendo stato espressamente previsto un periodo “cuscinetto” di transizione, fino al prossimo dicembre 2020, che assicurerà al Regno Unito il godimento di tutti i vantaggi dell’appartenenza all’Unione pur non essendone più parte, ed, al pari, il rispetto degli obblighi esistenti con diritto pieno, da una parte, della Commissione Europea di indagare sulla violazione delle leggi comunitarie e, dall’altra, della Corte di Giustizia di esprimere le sanzioni.

Quindi, perché, dopo il prossimo 31 dicembre, in assenza di proroghe, per quel che è dato sapere, i britannici residenti negli altri Paesi europei potranno limitarsi a conservare il diritto di soggiorno previo completamento delle procedure amministrative interne nonché piena libertà di movimento nel perimetro unionale come da richiesta del Parlamento Europeo.

CITTADINI EUROPEI - Inoltre, perché, i cittadini europei, sardi compresi, assai numerosi, residenti nel Regno Unito da almeno 5 anni, fino a giugno 2021 potranno provvedere, attraverso un apposito programma, a richiedere lo status di “residente permanente” o, in assenza del requisito temporale, lo status di “residente provvisorio” se giunti in Bretagna prima dello scadere del periodo di transizione. Ancora, perché, se è certo, come è certo, che la Brexit potrà incidere fortemente sul ruolo e sul peso di Londra e dei nuovi conseguenti assetti internazionali, altrettanto vero è che non è affatto detto che ciò avvenga in positivo, e soprattutto in disarmonia con l’assetto europeo perché, sarà pure una frase fatta, ma solo l’Unione, in ogni senso, fa la forza, soprattutto nell’era della globalizzazione e della crescente egemonia cinese in occidente. Poi, perché una eventuale, e sinceramente non voluta, Italexit, da non lasciare di certo agli esiti primitivi ed inconsapevoli di un referendum acritico a risposta secca ed improbabile quale quello del “vicino” Cameron, rappresenterebbe non solo la solita scelta di comodo di sapore squisitamente elettorale, ma non consentirebbe, ed anzi al contrario pregiudicherebbe, la realizzazione di un solido programma riformatore idoneo a contrastare i veri mali interni, primo tra tutti l’assenza del lavoro e l’indecente rendimento dello stesso in violazione niente meno che dell’articolo 1 della Costituzione.

EUROPARLAMENTARI INGLESI - Infine, perché, detto cinicamente, l’unica cosa certa, allo stato, sembra solo essere il “provvidenziale”, sempre per molti ma non per tutti, svuotamento del Parlamento Europeo determinato dall’addio dei 73 deputati britannici, che, dopo Brexit, verranno opportunamente rimpiazzati mediante ridistribuzione degli scranni di pertinenza ai contendenti originariamente esclusi dei vari paesi aderenti. E allora? E’ presto detto: la vera forza, cari sovranisti inglesi e non, risiede nell’appartenenza all’Unione Europea. Una Unione Europea ancora troppo spesso in cerca di autore e di reale coesione, ma che vale la pena “vivere” e “nutrire” nel rispetto degli insegnamenti della storia passata e recente. “Una delle massime eterne di Mussolini, che mi sembrava particolarmente sbagliata era il molti nemici molto onore. E di fatto era tanto riuscito nell’intento che l’Italia si trovò per la prima volta nella sua storia in una posizione di totale isolamento internazionale. Sulla via della ricostruzione ci siamo inseriti nella cordata atlantica e abbiamo cominciato a costruire l'Europa comunitaria” (cit. Giulio Andreotti). E’ giusto rinunciare a tutto questo? Secondo me no. Il nemico non sono l’Europa o i migranti. Il nemico è l’oscuro “cambiamento euroscettico e sovranista” promesso e nello stesso tempo fallito con l’esperienza giallo verde. Che dire allora dell’exit? Per dirla alla moda dei Trettrè di Drive In: “A me me pare na strunzata”.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
© Riproduzione riservata