Se il centro-destra perde, il centro-sinistra non vince, pur vincendo, ed il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, malgrado i risultati poco edificanti tutto sommato giustificati dall’inesistenza di una propria storia politica radicata a livello locale, non scompare del tutto ma quasi. A dispetto di tutto e di tutti. Tuttavia, se il dato numerico sui Territori riesce ancora ad assumere una sua rilevanza, al netto dei meriti e dei de-meriti delle singole componenti partitiche, ed al di là degli scandali giudiziari che hanno investito le formazioni sovraniste della “pseudo-destra” proprio a ridosso della competizione elettorale, ad emergere con estrema chiarezza è stato un duplice ordine di circostanze: l’astensionismo oramai “istituzionalizzato” per un verso, il quale si configura quale scelta politica precisa e consapevole, e l’ottimo piazzamento “riservista” del Partito Democratico in tutte le grandi città che andranno al ballottaggio per l’altro.

Ebbene. La somma di siffatte componenti apre uno scenario assolutamente inedito sulle cui basi potrebbe edificarsi l’apparato dirigente del prossimo “domani”. Tanto più allorquando, il progressivo aumento, quasi ininterrotto, del fenomeno del “non voto” sembra aver interessato negli ultimi tempi le competizioni elettorali di ogni ordine e rilevanza, distinguendosi, quanto alla sua intensità, unicamente sul piano della forbice differenziale direttamente riscontrabile nella singola circostanza. “Mutatis mutandis”, ed in buona sostanza, ritengo che a fronte della diffusa apatia che pare caratterizzare la cosiddetta “mobilitazione partitica”, i livelli di partecipazione popolare siano stati maggiormente consistenti solo laddove significativamente incisiva si è rivelata la “mobilitazione personale” del singolo candidato il quale, attraverso le proprie qualità soggettive, ha saputo opportunamente farsi conoscere e riconoscere, ed orientare di conseguenza il voto dei potenziali elettori.

Se ne deduce, se in questi termini possiamo davvero leggere gli esiti di queste “amministrative”, che la decisione dei singoli di partecipare al voto è stata direttamente condizionata da una premeditata “scelta” soggettiva di fondo ben orientata, la quale non solo patisce inevitabilmente tutte le incertezze della provvisorietà ben potendo non essere riconfermata in occasione del ballottaggio, ma, addirittura, tradisce il cosiddetto “principio di identificazione” partitica, di fatto accantonato alla stregua di un lontano ricordo di quella che fu la “Prima Repubblica”. Intanto, perché attraverso i meccanismi della “personalizzazione” del voto che pure paiono aver caratterizzato questa tornata elettorale, la scelta dell’elettore resta condizionata dall’ “appeal” esercitato dai singoli candidati (più che dai loro leader) a prescindere dalla loro militanza partitica. Quindi, perché, di conseguenza, è stata l’azione di sollecitazione di quegli stessi candidati, ed in rari casi dei loro leader (ad esempio Giorgia Meloni per la destra ed Enrico Letta per la sinistra), a spingere i cittadini, quei pochi irriducibili, ad attivarsi per esprimere la propria scelta condizionante.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)

Infine, perché solo grazie a quell’“attivismo” si è potuto, nella specifica circostanza, cercare di porre un argine alla crisi della “mobilitazione partitica” rinviandone le conseguenze devastanti ad un “domani” incerto tanto nel “se” quanto nel “quando”. La cautela valutativa si impone, dunque, con i caratteri della necessarietà: ne sono consapevole. Soprattutto in un contesto ove l’unica costante è rappresentata dalla disomogeneità comportamentale la quale, evidentemente, rende estremamente difficile tracciare un “trend” di medio-lungo periodo, e soprattutto perché, nella medesima circostanza di tempo e di luogo, non sarebbe possibile, e neppure opportuno, trascurare il fatto per cui la competizione elettorale di rilievo comunale, ed in qualche misura di rilievo regionale, si pone sempre e comunque in posizione di autonomia e peculiarità rispetto a quella di pregnanza nazionale per essere dominata, quest’ultima, da dinamiche assai differenti non sempre riferibili ad un meccanismo di “personalizzazione centralizzata” del voto. Ma non è tutto: come interpretare, e/o giustificare, ad esempio, l’atteggiamento delle classi sociali meno abbienti, quelle delle periferie per intenderci, le quali si sono astenute significativamente dal voto ponendo in essere una ribellione silenziosa ma pur sempre determinante sugli esiti? Sarebbe corretto definire siffatto atteggiamento quale espressione della crisi della destra populista di matrice salviniana ispiratrice del crescente sentimento di disillusione popolare? Possibile che i poveri, sempre più poveri e dimenticati, dinanzi ad un Governo (acclamato da tutte le rappresentanze politiche) che sembra fare solo gli interessi dei grandi centri di potere, abbiano deciso di declinare il voto?

Certo che sì, mi pare ovvio: per questo anche il Partito Democratico non vince neppure vincendo. Ed il fatto che esulti per il risultato riportato tra le classi maggiormente abbienti delle grandi città testimonia unicamente che esso è oramai lontano anni luce dalla “classe operaia” del passato e del presente. E testimonia, altresì, che ancora non si sia preso atto che a difettare è proprio una proposta politica apprezzabile idonea a ricondurre ad unità un tessuto sociale lacerato definitivamente da un preteso “governo dei migliori” popolato dai “matusalemme” della vecchia politica del fallimento.

Se Questi sono i migliori, allora mi sembra “si stesse meglio quando si stava peggio”. E sfido chiunque a provare il contrario. Al netto delle ipocrisie, siamo entrati nel vortice del “decadentismo” democratico e civile, e le rappresentanze partitiche, abdicando al loro ruolo, hanno preferito affidarsi ad un “traghettatore” apolitico a cui lasciar fare il cosiddetto “lavoro sporco” (si fa per dire) richiestoci dalla “matrigna” Europa che non avevano il coraggio di fare. Tutto il resto, anche queste amministrative, ne sono una diretta conseguenza.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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