S i è dell'avviso che il malanno più grave di cui va soffrendo la Sardegna odierna derivi dalle sue disuguaglianze. Che vanno indicate proprio al plurale, perché attengono diversi aspetti delle condizioni di vita delle nostre comunità, e vanno dall'ambiente al reddito, dalla demografia alla sanità, dai trasporti all'istruzione, fino alla dotazione dei servizi di pubblica utilità. Ragion per cui la semplice indicazione del Pil regionale, come valutatore globale della situazione socio-economica, appare insufficiente e fuorviante, in quanto non tiene conto di come si distribuiscono i suoi effetti.

Non a caso, il reddito medio degli abitanti di Bidonì e di Perdaxius, ad esempio, non raggiunge neppure un terzo di quello dei cagliaritani e dei sassaresi, mentre il decremento demografico vede penalizzare assai più Nulvi e Ortueri di Muravera e Sorso. Disuguaglianze che fanno pensare a una regione sempre più divisa e sempre meno unitaria.

C'è dunque una diversità territoriale e sociale che va sempre più acuendosi, portando con sé, all'interno delle comunità isolane, inevitabili contrasti e forti malumori, accese rivendicazioni e continue contrapposizioni. Unite a un inevitabile malessere sociale.

Ora, per meglio individuare la varietà dei malanni sofferti è necessario andare “oltre il Pil”, introducendo e utilizzando degli indicatori multidimensionali che aiutino ad evidenziare i differenti problemi e, quindi, a rendere più efficaci le soluzioni e i processi decisionali.

A tal proposito, l'Istat ha introdotto l'indice BES (Benessere Equo e Sostenibile) che annualmente misura, attraverso una dozzina di indicatori, le situazioni delle diverse regioni del Paese, non soltanto dal punto di vista dell'economia, ma anche degli equilibri sociali e dei fattori ambientali. Nel caso della Sardegna, ben otto di quegli indicatori risulterebbero particolarmente critici per le diversità, tra cui quelli riguardanti la distribuzione del reddito e dell'occupazione, la dotazione di servizi e la qualità della vita. A conferma di quelle che sono le dèfaillances più gravi della società isolana.

Detto questo, è evidente come le disuguaglianze sociali ed economiche costituiscano la causa primaria delle attuali difficoltà di una regione sempre più polimorfa e ad economia differenziata. Dove le aree dell'osso - per utilizzare la classica definizione di Manlio Rossi Doria - paiono essere sempre più numerose di quelle della polpa.

Occorrerebbe quindi riflettere attentamente su queste dannose alterazioni della nostra realtà geo-sociale. Partendo dalla valutazione dei risultati ottenuti da quando le politiche per lo sviluppo sono passate - più o meno da un quarto di secolo - da una regìa regionale ad istanze cantonali, da inserimenti “top down”, con innesti giunti dall'esterno, ad istanze sorte “bottom up”, per decisioni e capacità locali. Ora, se l'obiettivo dei vari Pia, Leader, Pit, ecc., varati in successione, era quello di poter ottenere un riequilibrio territoriale attraverso la diffusione estensiva degli interventi, eliminando così quell'effetto distorsivo e divisivo a macchia di leopardo, il bilancio risulterà assai insoddisfacente, se non proprio negativo. Anche perché molte delle iniziative promosse localmente sarebbero risultate sterili od effimere e, soprattutto, inadatte ed incapaci di diffondere benessere, con lavoro e profitti. Non a caso, secondo un'analisi delle due esperienze, lo sviluppo inserito dall'esterno avrebbe superato in benefici sociali quello voluto localmente, a parità di valore d'investimento, di un più 20-25 per cento!

Sembrerebbe quindi necessario recuperare una visione globale dello sviluppo possibile, attraverso l'adozione di efficaci misure d'incentivazione e di sostegno che abbiano il territorio isolano, nella sua globalità e differenti specificità, come vincolo ed obiettivo. In modo di riuscire a superare l'insieme di insulsi progetti, separati e contrapposti fra loro, che oggi penalizza la società isolana. Tanto da renderla sempre più debole e sofferente per le sue troppe disuguaglianze.

Ed è verso questo recupero di regionalità nello sviluppo che va inteso l'impegno che questo giornale - che non a caso si richiama, nel nome, all'unione di tutti i sardi - va compiendo quotidianamente con i suoi editoriali per poter favorire la nascita di una coesa e gratificante comunità di uguali.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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