N on è facile prevedere cosa ci riserveranno le prossime elezioni regionali. Non tanto per chi ne risulterà vincitore, ma su quali progetti ed impegni potremo contare per dare un'efficace riscossa ad un'economia che langue. Perché di questo la Sardegna ha urgente necessità. Da ogni parte politica in competizione si proclama che sarà proprio il lavoro che manca l'obiettivo primo del programma di governo, in modo da riuscire a ridurre il peso insostenibile della disoccupazione-inoccupazione che opprime la nostra gente. Ed è certamente un impegno da sottoscrivere appieno, in quanto una percentuale a due cifre e prossima alle due decine per i senza lavoro, va ritenuta una ferita sociale letale.

C'è però da mettere in chiaro che il lavoro, la nascita di posti di lavoro, non è altro che il punto terminale di un processo - si potrebbe dire: di una filiera - che ha in testa l'attività economica che lo dovrà avviare. E se stenta, o è deficitaria ed in crisi quella testa, anche la quantità dei posti di lavoro continuerà a soffrirne. Perché il creare nuova occupazione è in diretta dipendenza dalla capacità di crescita delle attività produttive. Ancora: perché il lavoro, come spiega un aforisma, è come il pesce: per poterlo portare in tavola occorre che si abbia la canna per pescarlo (cioè l'impresa).

D'altra parte, quando si parla di lavoro occorrerebbe uscire fuori dalla genericità degli slogan, perché c'è lavoro e lavoro, quello sui campi o in fabbrica o in cantiere, in negozio o in ufficio o da prestatore di servizi, ed ancora quello nel settore privato o in quello pubblico. (...)

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