Il bambino - oggi uomo - l'anno esatto non se lo ricorda. Si trovava a Cagliari, però. Questo è certo. Ed era una mattina invernale. Assai probabilmente del 1984. Ma non è sicuro. Il cervello, infatti, mica è Google: in cui ci sta tutto. Per fare spazio ai nuovi ricordi, allora, elimina i dettagli meno importanti. Le cose che contano, però, restano eccome!

Come la memoria di quel giorno. Manca poco al suono della campanella e un bambino, che frequenta la terza o la quarta elementare nella scuola di Sant'Alenixedda, ha appena finito di percorrere via delle Medaglie d'Oro ed è entrato in piazza Giovanni XXIII. La notte precedente c'è stata una tempesta e un esile pino, da poco piantato in una delle tante aiuole quadrate che puntellano il marciapiedi, è rimasto quasi del tutto sradicato e sfibrato dal vento.

Il bambino percepisce la sua silente richiesta di aiuto.

Non vuole certo far tardi a scuola: ma, allo stesso tempo, ci tiene ad aiutare l'albero. Vuole rimetterlo dritto, perché riprenda vigore: altrimenti morirà. E, così, attraversa la strada e, dal vicino benzinaio, si fa dare una stecca di legno e un po' di spago. Con le sue manine, delicatamente, risolleva il fragile pino piegato, ma non spezzato dal vento, e gli offre il sostegno necessario per continuare a esistere.

Oggi quell'albero è diventato grande e forte. E ogni volta che il bambino - oggi uomo - si trova a passargli accanto lo accarezza. Come fosse un amico.

Tra loro c'è un rapporto bellissimo. Una specie di amore che non ha bisogno delle parole, ma riesce comunque a trasmettere all'animo emozioni.

Poco lontano, ci sono un bar e un tabacchino. I clienti che entrano ed escono vedono l'uomo così intimamente vicino all'albero e non capiscono.

Pensano che sia matto: perché nulla sanno dell'affetto che, a distanza di più di trent'anni, ancora li lega. Dell'intimità che fra loro esiste.
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