L 'adagio del “Giorno del giudizio” di Salvatore Satta sull'esserci solo perché c'è posto, riferito alle donne ma in realtà a tutti perché tutti inessenziali, scava come un fiume carsico e non smette di interrogarci. La statistica che vede la Sardegna al quarto posto per violenza sulle donne scardina, irreversibilmente, retoriche e luoghi comuni su matriarcati e matricentricità; e riassume un humus di negazioni profonde, ancestrali, antropologiche, sottolineate persino dalle modalità degli ultimi femminicidi.

L'emergenza impone, in prima istanza, di interpellare chi opera negli spazi pubblici e privati: dai centri antiviolenza alle forze dell'ordine; dalle amministrazioni statali agli enti locali; dalle iniziative culturali, disseminate nel territorio, all'educazione sentimentale. Che fare, accertata l'interdipendenza tra violenza e desertificazione pedagogica, di cui raccontano Invalsi, Ocse Pisa, Istat, Censis? Cosa aspettarsi da luoghi deprivati di pedagogie se non accadimenti tragici che spazzano via consolidati paradigmi sulle nostre comunità?

Perché se la violenza agisce in Sardegna contro le donne e, a ritmi compulsivi, contro gli amministratori locali, a maggior ragione, la negazione delle donne, di cui il femminicidio è gesto finale, interpella, in forme dirimenti quanto dirompenti, la politica. La sovrasta come un macigno perché della negazione delle donne la politica è il convitato di pietra se non addirittura il pontefice massimo con officianti che vanno moltiplicandosi. (...)

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