I l paradosso vuole che ieri, per la prima parte della giornata, mentre si succedevano dichiarazioni di interdizione reciproca, sembrava che i principali nemici dell'accordo fossero i due leader dei partiti che dovevano sottoscriverlo, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio. Mentre un altro paradosso altrettanto singolare voleva che, in serata, in un turbolento tavolo di mediazione, l'uomo che cercava di stemperare (con successo) quest'ostilità fosse proprio quel Giuseppe Conte, ovvero colui che fino al giorno prima era (apparentemente) la pietra dello scandalo e il motivo della divisione tra Movimento 5 Stelle e Pd.

Due giorni fa si litigava sul premier, ora sul Viminale. Il problema è che, in queste ore concitate, se volete capire la vera posta della partita, non dovete guardare le apparenze - del tutto ingannevoli - ma la sostanza. E dovete immaginare che questo dialogo tra ex nemici - da un lato il cosiddetto “partito di Bibbiano”, dall'altro, “l'armata degli incompetenti” e del “bibitaro” (Vincenzo De Luca dixit) - non vada letto con le categorie della politica tradizionale, ma con un mix di chiavi interpretative che oscillano fra una partita a scacchi e un videogame. «Di Maio vuole prendere tutto!», dicevano le veline di uno scandalizzato Pd. «Zingaretti e il Pd vogliono costringerci a digerire i loro vecchi arnesi!», si lamentavano off record i trapper del Movimento 5 Stelle. Il bello è che sono vere entrambe: da un lato è stata una partita a scacchi, perché come nel gioco, “ogni scelta - diceva in un bel libro lo scrittore Paolo Maurensig - comporta l'abbandono di tutte le altre alternative possibili”.

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