D ue inchieste diversissime hanno prodotto due esiti politici sorprendenti, paradossali e paralleli: uno a destra e uno a sinistra. L'Italia è il paese dove tutto è possibile, e dove il cortocircuito perenne politica-magistratura è in grado di fondere qualsiasi fusibile, e si trasforma nella lampada magica da cui sempre salta fuori il genio dell'imponderabile.

Cominciamo dalla maggioranza gialloverde: non era un effetto desiderato, ovviamente. Ma alla fine il duplice filone di inchiesta sulla Diciotti (quello di Salvini più quello derivato su Conte, Di Maio e Toninelli) ha portato a questo risultato: ha finito per cementare la traballante alleanza fra M5s e Lega. Il governo Di Maio-Salvini non è nato il 4 marzo, ma oggi. Fino a ieri - infatti - i due partiti erano associati da un contratto firmato con una algida e burocratica procedura, in uno studio legale. “Non siamo alleati, abbiamo solo stretto un accordo di governo”, dicevano addirittura i rispettivi ministri in tv. Da ieri invece i due leader sono diventati solidali a tutti gli effetti, uniti simbolicamente da un vincolo di sangue che è stato tenuto a battesimo con un voto parlamentare congiunto e gravido di simboli (il no al processo per Salvini votato in giunta al Senato).

Per arrivare a questo epilogo entrambi i vicepremier-capipartito hanno bruciato i ponti dietro le loro spalle. Salvini ha spiegato ai suoi, subito dopo il voto in Abruzzo: “Noi non andremo mai al governo con Berlusconi. Mai!”. (...)

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