N on ci sono contagi rilevanti nelle scuole ma le scuole vengono sbarrate. Non c'è notizia di contagi sensibili nei cinema ma i cinema sono stati chiusi (con una decisione che colpisce una intera industria). Non c'erano più focolai nelle palestre, ma le palestre sono state chiuse, anche se nessuno ha fatto controlli per dirci chi ha rispettato le regole e chi no. I ristoratori hanno tracciato i clienti, come era stato chiesto loro, speso soldi per adeguarsi ai protocolli, ma anche i ristoranti sono stati colpiti, in modo indifferenziato. Ci dicevano (tutti): «La scuola sarà l'ultima cosa a chiudere». Ma si sono rimangiati anche questa dichiarazione di intenti, persino Giuseppe Conte, che solo sei giorni fa aveva detto ai suoi ministri: «Non voglio sentire nemmeno pronunciare la parola lockdown».

Così è arrivato il nuovo Dpcm, come se la storia ricominciasse ogni giorno da zero. Nulla più conta, di ciò che era stato promesso: da ieri in questo Paese comanda la paura, e così dobbiamo provare a capire perché. Alla fine, come purtroppo avevamo previsto, il lockdown a rate che sognavano le autorità sanitarie è arrivato: imposto in modo obliquo, malgrado non ci fosse nessun consenso intorno a questo provvedimento. Non c'è nessuna soddisfazione, nel constatarlo, semmai il contrario: un indicibile sentimento di amarezza. L'Italia sta tornando a chiudere le sue attività vitali nel peggiore dei modi, nel pieno marasma del caos e del conflitto istituzionale, in un circo di dichiarazioni contraddittorie, misure tardive e confuse.

B isogna essere seri e lucidi, non cedere alla demagogia. Ma non si può nemmeno non prendere atto che in queste ore tutti i protagonisti stanno dando il peggio di sè. Penso al governatore Vincenzo De Luca, che ha dichiarato un coprifuoco unilaterale nella sua regione, come se fosse il dittatore dello stato libero di Bananas, e solo due giorni dopo se lo è rimangiato (dicendo che «servono i ristori»). Non poteva pensarci prima? E che dire dell'assessore della Sanità della Lombardia, che ha messo un premio per i dirigenti sanitari che smantellavano terapie intensive e poi ha persino difeso la sua scelta? Domanda: ma se i contagi avvengono sui grandi mezzi di trasporto pubblico, come mai questa estate non sono state prese le contromisure utili? Cosa hanno discusso nei tavoli regionali sulla mobilità scolastica in cui nessuno ad agosto (lo dice il ministro Lucia Azzolina) ha parlato di questi problemi?

Il punto che rende inaccettabili le nuove restrizioni, dunque, è che questa seconda ondata del Coronavirus non era imprevedibile, ma certa. Tutti i virus Covid hanno ciclicità stagionale, tutti gli epidemiologi ci avevano avvisato che in autunno sarebbe tornata l'epidemia. Se i contagi stanno esplodendo, dunque, non è colpa del destino cinico e baro, e nemmeno delle presunte negligenze dei cittadini. Bisognava costituire una diffusa e capillare rete di tracciamento. Bisognava potenziare il sistema dei tamponi. Era necessario potenziare stabilmente il trasporto pubblico. Era essenziale avere più letti di terapia intensiva, ma anche in questo caso non ci sono infrastrutture, intensivisti, reparti dedicati. Quindi non si può usare come pretesto il fatto che i contagi stiano salendo: i contagi aumentano, e ormai continueranno a salire perché il sistema di contenimento dell'epidemia è andato in tilt. Le Asl sono quasi ovunque in difficoltà, i drive in sono diventati grotteschi circhi, le quarantene vengono comminate come condanne, ma subito perdono di efficacia, perché poi nessuno chiama i malcapitati a casa per fare le indagini epidemiologiche dei contatti. Nelle scuole ci sono decine di classi che non vengono squarantenate (malgrado gli esiti negativi degli esami), tutti i lavoratori autonomi sono in difficoltà, ieri abbiamo scoperto che a Napoli c'era addirittura una banda che vendeva tamponi falsi (ovviamente tutti negativi).

È colpa del virus, questa? No, è colpa dell'arretratezza italiana, della farraginosità delle procedure, della difficoltà endemica di spendere i soldi, anche quando ci sono. In tutta la Campania, in un anno, si sono diplomati solo cinque rianimatori, e gli esempi potrebbero continuare all'infinito. Ecco perché il governo e i presidenti di regione in questa fase sono presi dal panico, e si sfidano in una gara per nulla virtuosa a chi mette un lucchetto in più. Il settore del turismo è in ginocchio. Il settore della moda pure. La manifattura è in crisi. Stanno crollando persino i consumi alimentari, i soldi sono finiti. Le stime più prudenziali ci dicono che appena cade il blocco dei licenziamenti almeno 900 mila lavoratori finiranno in mezzo ad una strada.

Nella primavera scorsa ci volle coraggio a chiudere ma non c'erano alternative di fronte ad un male sconosciuto. Oggi serve ancora coraggio, ma quello necessario a non chiudere. Siamo di fronte ad un rischio che purtroppo è noto: quello di aggiungere al collasso epidemico un collasso economico. E non possiamo

permettercelo.

LUCA TELESE
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