B ig bang pentastellato e grande disordine sotto il cielo della politica. Mancano pochi giorni: il voto in Emilia Romagna (e in Calabria) non deciderà solo il futuro del governo ma anche quello del Movimento Cinque stelle. Queste elezioni regionali, infatti, per Luigi Di Maio saranno il primo test dopo aver subìto una doppia e contemporanea scissione, sia da destra che da sinistra.

In ogni caso si tratta di un record: quella di Lorenzo Fioramonti e del suo “Eco” (un nuovo progetto di partito ecologico) è la prima rottura nella storia del Movimento che possa contare su una struttura organizzata (addirittura un nuovo gruppo parlamentare), e che abbia un seguito consistente tra deputati e senatori. Quella di Gianluigi Paragone - invece - è la prima nella storia subìta da parte di qualcuno che ha una fortissima visibilità mediatica e che addirittura “rifiuta” l'espulsione, minacciando di “restare dentro”. Un bel paradosso.

Con Paragone ci ho parlato il 3 gennaio: stava partendo per la montagna e caricava le valigie in macchina. La prima cosa che gli ho chiesto è stata: «Rifiuti di uscire per fare cosa?». Lui mi ha risposto ridendo: «Rompere le balle. Far circolare idee. Non riconosco quel provvedimento, sono stato espulso dal nulla, Di Maio ormai è il nulla». Ho chiesto a Gianluigi, mio ex collega de La7, cosa significhi esattamente non accettare il verdetto dei probiviri. Lui mi ha risposto così: «Mi invitano in tutti i meet up d'Italia, andrò a parlare ovunque, non basterà il filo spinato per fermarmi!».

E poi, in un gran finale: «Io sono fedele al programma anti-sistema del M5s. Sono loro che lo stanno tradendo». Loro chi? Ghigno malizioso e risposta sarcastica: «I miracolati della lotteria di Pomigliano». Fioramonti - invece - l'ho incontrato in una locanda di Centocelle, il quartiere della periferia romana dov'è è cresciuto, appena dopo le feste. Dice anche lui di essere deluso da Di Maio. E spiega: «Il M5s, al governo, doveva portare uno spirito riformista e innovativo. Fare le cose che non aveva fatto nessuno. Diventare l'avanguardia di una green revolution, investire nella ricerca». E invece? «Invece nella mia battaglia sulla scuola e sui finanziamenti all'università sono stato lasciato solo. Un errore clamoroso». Conclusione: «Io mi sento fedele alle battaglie che il movimento oggi ha abbandonato. Uscire per me è stato un atto doloroso, ma anche un inevitabile gesto di coerenza».

Fioramonti e Paragone, dunque, escono insieme ma vanno in due direzioni esattamente opposte. Ed entrambi dicono di farlo in nome della coerenza con ciò che hanno detto, e con ció che era stato, fino ad un anno fa, il movimento grillino. Non mentono, e non necessariamente uno dei due sbaglia. Perché il capolavoro senza precedenti del M5s, nel 2018 fu toccare il 33% sommando domande politiche diverse, e anche opposte, elettorati antitetici fra di loro: i giovani ricercatori a cui parlava Fioramonti, gli incazzati antisistema e anti-banche a cui parlava Paragone e gli impoveriti del sud che hanno creduto a Di Maio. Adesso, proprio mentre le identità fondative si dividono, come spiriti fuggiti da un vaso di Pandora che si infrange, il test del voto in Emilia e in Calabria diventa cruciale per capire se il Movimento di chi è rimasto risponde ancora ad una domanda politica forte e nazionale.

È vero che le formazioni di Paragone è Fioramonti non sono sulle schede elettorali, perché per loro è troppo presto. Ma se ci sarà un crollo di consensi sotto la soglia critica del 10%, potete stare certi che loro (ed altri) arriveranno presto con nuovi simboli e nuove offerte politiche in quel mercato. Per queste le regionali (come lo furono l'Abruzzo e la Sardegna per Matteo Salvini) sono un test che riguarda tutto il Paese, perché ci dirà se il corpo del movimento è un ricordo del passato, sanguinante e inseguito da piranha della concorrenza sia degli ortodossi che degli eretici. Oppure ci dirà se il M5s di governo, malgrado tutte le abiure - giuste o sbagliate, non importa - è diventato una forza in grado di incarnare i bisogni di una stagione riformista. Anche perché l'unica cosa certa è che il terremoto italiano non è ancora finito. Anzi: la terra ha appena iniziato a tremare.

LUCA TELESE

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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