V oglio dirvi subito che io non #stoconsalvini. Non penso che il leader della Lega sia un nuovo Dreyfuss perseguitato dalla magistratura per le sue idee, non credo che sia vittima di un complotto. Mi piacerebbe - in astratto - che i magistrati potessero indagare sempre sui politici, senza scudi o barriere che li rendano diversi dagli altri cittadini di fronte alla legge. Tuttavia, come direbbe Leonardo Sciascia, in politica il contesto è tutto. E io - in questo so che deluderò qualche tifoseria politica - non penso che sia opportuno che la maggioranza ieri abbia votato contro Salvini.

C hi ama la democrazia delle regole e delle garanzie deve sapere che ogni precedente resta come una ferita nel corpo delle istituzioni: ed è per questo che è molto giusta la polemica che due costituzionalisti di sinistra come Michele Ainis e Sabino Cassese, per una questione di principio, stanno sollevando contro il governo a colpi di Dpcm, ovvero contro i decreti amministrativi della presidenza del Consiglio dei ministri con cui si è deciso tutto in questi mesi, durante l'emergenza Covid.

I “Dpcm” non sono sottoposti né al vaglio del Capo dello Stato, né al voto del Parlamento: in un Paese che da sempre è diviso tra guelfi e ghibellini, tra Montecchi e Capuleti, tra destre e sinistre che (per lunghi anni) non si sono mai riconosciute e legittimate a vicenda, credo che quando si possiede una maggioranza politica, non se ne debba mai abusare. Vale per come si emanano le norme durante l'emergenza Covid, vale anche per il modo in cui il Parlamento giudica un ex ministro.

È ridicolo che il M5s, dopo aver assolto Salvini nei primi procedimenti, oggi gli voti contro su Open Arms perché ha rotto l'alleanza gialloverde. L'aministia con cui Palmiro Togliatti nel dopoguerra, nel lontano 1946, mise fine alla persecuzione contro gli ex esponenti del regime fascista fu un atto di civiltà politica. Il no del PCI alla messa in Stato di accusa del MSI, nel 1970 (nella durissima stagione delle stragi!) aveva lo stesso significato, e ha impedito la rottura del patto fondativo della Costituzione, che si spinse fino a garantire anche chi non l'aveva sottoscritta e che l'aveva combattuta apertamente in nome della nostalgia per il regime fascista.

Possibile che ciò che è accaduto persino nel pieno della guerra fredda non possa ripetersi oggi? Ieri coloro che difendevano il procedimento contro l'ex ministro dell'Interno per la vicenda di “Open Arms” ricordavano un fatto formalmente ineccepibile: i senatori non erano chiamati a giudicare se Salvini avesse o meno commesso i reati di cui è accusato dai Pm, ma solo valutare “se l'ex ministro avesse agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante”.

Ecco, questo è corretto, ma è solo una parte della verità: quel voto significava molto di più. È la scelta con cui chi governa decide se il suo avversario può restare sul campo da gioco o meno. Ed è per questo motivo che pur essendo convinto che il leader della Lega abbia usato la politica di chiusura dei porti per fare propaganda politica, sono molto scettico su di un parlamento che mette il leader dell'opposizione in mora. Anche perché la cosa più inaccettabile sono delle istituzioni che agiscono in modo doppiopesista: assolutorie con il potere e colpevoliste con l'opposizione.

Attenzione: non sto dicendo che Salvini meriti una sorta di impunità. Sono invece preoccupato dell'opposto: che siccome oggi è il leader di una minoranza lo si mandi a processo con una malcelata soddisfazione. Ovvero con l'idea che un problema politico si possa risolvere con una scorciatoia vendicativa. È vero piuttosto il contrario: rinunciate ad ogni regolamento di conti, come fece la Repubblica nel 1946, e solo allora - se volete - potrete batterlo.

LUCA TELESE

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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