L 'intervista del giornalista Alessandro Sallusti a Luca Palamara, il magistrato imputato di corruzione per l'esercizio della funzione di consigliere del Csm, già radiato dalla magistratura, sta scuotendo il mondo giudiziario italiano. E questo non rafforza di certo la fiducia dei cittadini, che era già ai minimi storici: ormai solo un italiano su tre - in base a un recente sondaggio - ha fiducia nella giustizia.

È difficile dargli torto dopo ciò che è emerso dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni rese dallo stesso ex-magistrato. Dal libro-intervista emerge il “Sistema”, cioè un perverso meccanismo di nomina dei capi degli uffici, ma anche l'uso illecito dell'azione penale a fini di lotta politica: il tormentato rapporto tra politica, informazione e magistratura, un vero e proprio circuito politico-mediatico-giudiziario, in cui le varie correnti della magistratura, costole dei diversi partiti, operano come macchine clientelari di potere. In questo modo gli interessi generali della giustizia si confondono con l'uso strumentale per fini personali di una parte della magistratura, con conseguente accanimento giudiziario per scopi politici contro l'avversario, mediante il processo politico-giudiziario, amplificato dal megafono mediatico, che avvantaggia una parte politica a scapito dell'altra.

Certo, il processo penale contro Palamara per corruzione dovrà accertare i fatti, nel contraddittorio tra le parti, e non si possono tranciare giudizi senza una sentenza.

M a se dobbiamo seguire il criterio ormai invalso in Italia, alle indagini dobbiamo pur riconoscere un qualche valore e, in generale, in presenza di plurime e inequivocabili intercettazioni e riscontrate confessioni e chiamate in correità, è possibile anticipare almeno un giudizio allo scopo di metter fine ai guasti provocati alla giustizia dall'uso politico del processo e dalla sua amplificazione mediatica.

Intendiamoci, se il processo è giusto la diffusione mediatica è utile, anzi necessaria per consentire il diritto di cronaca e il controllo sociale sull'amministrazione della giustizia. Ciò che non è ammissibile è la divulgazione del processo utilizzato come clava. È indifferibile perciò restituire al cittadino l'immagine di una “giustizia giusta” e di un processo penale avulso dalla politica. E la magistratura può riacquistare l'autorevolezza e la credibilità perdute solo facendo chiarezza, alla luce del sole, su quanto avvenuto in questi anni, perché Palamara non agiva da solo ma operava in un sistema nel quale erano molti a tirare i fili degli accordi sottobanco per le nomine a capi degli uffici o per abbattere l'avversario politico. E allora in un sistema democratico, il sistema dei “checks and balances” impone che pesi e contrappesi intervengano a mantenere l'equilibrio tra i diversi poteri dello Stato. In questo caso compete al potere legislativo modificare subito l'articolo 104 della Costituzione e introdurre per legge, in luogo dell'elezione, il sorteggio, che è del tutto sganciato dalle correnti, per l'accesso dei magistrati al Csm.

Ma bisogna andare a fondo anche sull'intera vicenda, il Parlamento dovrebbe approvare per legge l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta per fare piena luce sulla pagina più buia della magistratura italiana. Finora eravamo abituati a vedere la magistratura investigare sulla politica, ora forse sarà il Parlamento a controllare la magistratura.

LEONARDO FILIPPI

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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