D iritto al lavoro o diritto alla salute? Salvaguardare i posti di lavoro all'ex Ilva o garantire la vita degli abitanti di Taranto? È un quesito che in un paese civile non si dovrebbe mai porre. La Corte europea dei diritti dell'uomo, a gennaio scorso, ha condannato l'Italia per mancato rispetto della vita privata, constatando all'ex Ilva il protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute di tutta la popolazione residente nelle zone a rischio. Ma lo stabilimento occupa oltre 8.000 operai che, in caso di chiusura, perderebbero il lavoro.

Questo è il terribile dilemma che pone oggi la questione ex Ilva, il più grande impianto siderurgico d'Europa, nato come azienda di Stato negli anni '60, ceduto poi nel 1995 ai Riva senza imporre l'adeguamento degli impianti al rispetto dell'ambiente. La Procura tarantina nel 2012 indaga i Riva ed i vertici aziendali per disastro ambientale e sequestra gli altiforni, ma lo Stato dichiara l'impianto di interesse strategico nazionale ed emette diversi decreti “salva-Ilva” che consentono di continuare la produzione riducendo l'impatto inquinante. Poi l'Ilva cade in stato di insolvenza, subentra l'amministrazione straordinaria dei commissari e, nel giugno 2017, il contratto di cessione dell'impianto ad Arcelor Mittal con la garanzia dello scudo penale, introdotto già dal 2015 dal governo Renzi, che era una condizione prevista nella gara per l'affidamento dell'impianto e che garantiva ai nuovi gestori l'immunità penale. Si tratta di un compromesso inaccettabile e però inevitabile per assicurare i livelli occupazionali. (...)

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