I l caso Diciotti cade in un momento di paventata giustizia a orologeria e ha fatto gridare le opposizioni alla fuga di Salvini dal processo anziché alla sua difesa nel processo.

È la prima volta nella storia repubblicana che il presidente del Consiglio, il suo vice e il ministro dei trasporti si sono autodenunciati e sono stati iscritti dalla Procura di Catania nel registro degli indagati per il reato di sequestro di persona, insieme al ministro dell'interno, per aver trattenuto per cinque giorni a bordo della nave i migranti irregolari. Si prefigura così un braccio di ferro tra esecutivo e magistratura, dopo che il tribunale dei ministri di Catania ha già chiesto al Senato, a norma dell'articolo 96 della Costituzione e dell'articolo 9 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, l'autorizzazione a procedere contro il responsabile del Viminale, nonostante il pubblico ministero avesse richiesto l'archiviazione.

È pacifico che la condotta per la quale il tribunale dei ministri ha richiesto l'autorizzazione a procedere, ipotizzando il reato di sequestro di persona, sia stata commessa nell'esercizio della funzione ministeriale. Ma la valutazione insindacabile che la Giunta per le autorizzazioni, prima, e il Senato, poi, esprimono non riguarda la fondatezza o meno dell'accusa, ma esclusivamente se “l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo”, così come prevede l'articolo 9 della citata legge del 1989. (...)

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