U no psicologo, il motivatore, oggi si usa il mental coach. O magari un domatore per leoni che diventano cuccioli di labrador, perché la metamorfosi psicofisica che il Cagliari esibisce lontano da casa è una case history da convegno medico-sportivo. Riassunto delle puntate precedenti: la squadra di Maran gioca un calcio spettacolare, cuore e muscoli, testa e gambe, contro una delle corazzate del campionato, l'Inter. Lo fa nella sua tana, la Sardegna Arena, piccola e rassicurante, dove tutto riesce bene e alla fine c'è anche l'abbraccio della gente, delusa e inferocita fino a due ore prima. Un'iniezione di autostima talmente forte che avrebbe permesso ad Andrea Camilleri di battere Filippo Tortu, face to face. Poi il Cagliari, quello stesso Cagliari, prende l'aereo, si presenta a Bologna con il compitino ben ripassato, le intenzioni giuste, con una formazione di uomini veri, e tutto diventa complicato, scuro, indecifrabile.

Si prende un gol - ci può stare, nel calcio moderno - e il finale lo conosciamo. È scontato, scritto sulla pietra. Il Cagliari ha il peggiore rendimento esterno del campionato, dieci sconfitte su quattordici esibizioni, numeri sui quali il lavoro ad Assemini non ha inciso, fino a oggi. Il Cagliari perde più del Chievo, del Frosinone, nonostante un organico capace di giocare un calcio divertente e di qualità. Le assenze hanno inciso, è vero, ma ieri un po' meno, se abbiamo rivisto Thereau e Birsa, per esempio. Anche se il francese sembrava lì per caso. Chiamate uno psicologo, uno bravo, rassicurate i ragazzi: il campionato si gioca anche lontano da casa. Ma senza paura.
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