Q uella strana sensazione di aver dato tutto, di aver accarezzato per novanta minuti un'impresa. Di aver fatto anche sognare quei quindicimila straordinari tifosi che hanno cantato per tutta la sera. Poi sulla bilancia hanno pesato di più un tasso tecnico elevatissimo, i cambi, la fatica, un'ingenuità commessa da uno che non gioca mai e allora l'epilogo è amaro. Che rabbia, ieri alla Sardegna Arena: un castello inespugnabile, quest'anno, fino a quel gesto tecnico di Milik, con i compagni di squadra di Cragno che hanno anche saltato, nel vano tentativo di sporcarla, quella traiettoria assassina.

Onore al Cagliari , rimbalza dalla tv e il malessere aumenta, perché un riconoscimento generale e affettuoso a questa squadra che non sbanda, non molla, che lotta, ha il sapore di un buffetto che si dà sportivamente a chi perde. E invece il Cagliari ieri non ha perso, ha solo ceduto davanti una squadra che ha altri obiettivi - ora ha in mente di vincere l'Europa League - e ha un organico che non appartiene alla stessa categoria dei rossoblù. Ma in campo il cuore e la testa stavano decidendo il risultato, stavamo assistendo a una prova che non dimenticheremo presto. Maran aveva un solo percorso tattico da prendere, quello di giocarsela, di stare “sul pezzo” in ogni centimetro del campo e questo la squadra ha fatto, aggrappata al formidabile talento di Barella, apparso in certi momenti quasi un alieno. Ancelotti aveva previsto tutto, presentando la partita, ma nella sua testa forse non pensava di arrivare sullo 0-0 alla volata finale. (...)

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