D ove sei, Diego? Dove hai deciso di giocare, adesso? Dicono che sei morto mentre cercavi di respirare, mentre volevi riconquistare con le unghie quei frammenti di vita che hai gettato via, sapendo di farlo. Ci guardiamo negli occhi, abbiamo sempre saputo che tu non fossi solo un campione, un artista, un giocoliere. Oggi abbiamo la certezza di aver visto passare un dio, il mito, la leggenda, qualcosa di irripetibile che non può essere intaccata da circostanze semplici come il male, l'agonia, la morte. Non era solo calcio, quello che hai dato. Abbiamo assistito a tutto, su quel prato, ma anche al contrario di quel dolcissimo tutto. Il pallone eri tu, mannaggia, continuavi a essere Maradona anche oggi, sfiancato da un'esistenza complessa, dal peso di essere Diego sette giorni su sette. Non sei mai cresciuto, dentro di noi, aggrappati a quel modo di regalare calcio che nessuno, prima e dopo di te, ha saputo replicare.

Dove sei, Diego? A quale tavolata ti sei unito, ieri sera? Cassius Clay, Kobe Bryant, Ayrton Senna, o magari qualcuno che sul campo di calcio ha provato a starti vicino, inutilmente. Qui sotto, quelli che amano lo sport - ma non solo loro - hanno la netta, indimenticabile percezione che un pezzo di storia, della nostra storia, sia stato staccato, bruciato, divorato dalla nostalgia che lasci. Il più grande del secolo, di due secoli, il più forte di sempre, innegabilmente “il calcio”, la più grande contraddizione vista in uno stadio: i mezzi fisici normali ma dentro il genio, il giocatore perfetto, con i demoni aggrappati alla maglia numero dieci.

S ei stato il manifesto dell'umana debolezza, del piacere di vederti e di quelli che ti sei sempre concesso, prima e dopo Napoli, divorando la tua vita e inseguito da una fama che ti ha stritolato, lentamente, fino a toglierti il respiro. Sei stato quello che i ragazzini sognano di diventare, famoso come il Papa, amato come pochi, bravo come nessuno, nel nostro gioco preferito.

Hanno provato a denigrarti, a diffondere i malinconici video del tuo declino, della pancia gonfia e delle parole biascicate, hanno cercato di batterti con gli sberleffi e il veleno, quell'esercito di sconfitti che ha tentato di cancellare il mito, le carezze al pallone, le reti con le mani e quelle col cuore. Sì, hanno fatto di tutto, per farti cadere dal piedistallo, ma tu sei sempre stato Maradona, gli altri no.

Di te resta tutto, i demoni, le debolezze, le passioni nascoste e quelle gridate. Ogni istante di sessant'anni vissuti mettendoci la faccia, quella di chi l'ha combinata grossa e che oggi, di sicuro, continui ad avere, dovunque tu sia. Da bambino non avevi avversari, da calciatore neppure, fino a ieri hai provato a evitare l'ostacolo più duro, da oggi la leggenda ti accompagnerà. A noi restano le tue maglie, i gol e le fughe, gli eccessi e l'amore, le cadute - tante - e i successi, uno sull'altro. Hai fatto felice un sacco di gente, non solo a Napoli. Ma quelli che ti chiamavano dio, non ti hanno mai trattato da uomo.

Dove sei, Diego? Dove sono quelli che discutono su chi sia stato il migliore? «Era come me», ci ha detto Gigi Riva ieri sera. E abbiamo capito, con quelle tre parole, l'immensa distanza che c'è fra le leggende dello sport e gli altri. Tra la Storia e quelli che pensano di averla fatta.

ENRICO PILIA
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