A bbiamo assistito, ieri notte al San Paolo di Napoli, a qualcosa che assomiglia a una colossale ingiustizia. Soprattutto perché le immagini televisive - fattore sempre più determinante in un gioco che non è più come prima - hanno stabilito che il fallo di mano di Cacciatore era stato commesso fuori dall'area di rigore. Sensazione che anche l'arbitro aveva condiviso, se negli attimi successivi aveva fatto andare avanti l'azione, sicuro come un boy scout nel parco. Poi, come facilmente prevedibile anche da un bimbo, quell'assalto furioso, quella spinta della corazzata Napoli prima o poi avrebbe dovuto produrre un risultato. E così è andata, in una battaglia (sportiva) che si è accesa nel secondo tempo, dopo una prima parte sonnolenta, senza brividi.

Quest'anno sembra scritto nel destino che le sfide fra Napoli e Cagliari debbano finire malissimo, sempre per i rossoblù: all'andata quella punizione maledetta e bellissima di Milik, ieri i due cazzotti, l'ultimo deciso a tavolino. E allora accendiamo il frullatore dei rimpianti. Perché metà dell'applicazione, dell'intensità che abbiamo visto ieri per ottanta minuti, sul prato fradicio del San Paolo, sarebbe bastata per regalarsi - e regalare - un altro campionato. Dispiace che il Cagliari abbia trovato solo in questo bel finale di stagione un equilibrio e una solidità in trasferta che avrebbero generato il salto di qualità, se questi valori fossero stati
spalmati nel corso della stagione. Maran ieri ha messo in campo una squadra intelligente e concentrata, il campo e l'arbitro non gli hanno dato ragione. Il calcio è un gioco? Chiediamolo al Var.
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